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sabato 7 settembre 2024

Sintesi Processi e sentenze questura di Milano

Fonte Rete degli archivi Con la scoperta del “documento Azzi” nell’abbaino di viale Bligny a Milano, uno dei covi di Avanguardia Operaia, si aprirono nuove rivelazioni che, anche grazie alle dichiarazioni di Martino Siciliano e Carlo Digilio, portarono alla riapertura delle indagini parallele per la strage di piazza Fontana e per quella alla Questura di Milano del 17 maggio 1973. Per completare la storia di Gianfranco Bertoli, già giudicato colpevole in Cassazione anni prima, Lombardi andò anche a recuperare negli archivi del Sismi, eredi del Sid, ciò che rimaneva del fascicolo dell’informatore “Negro”, alias di Bertoli. Nel novembre del 1990 alcuni quotidiani scrissero che negli elenchi di Gladio compariva il nome proprio di Gianfranco Bertoli. Il Sismi sostenne fin da subito la teoria del caso di omonimia. La tesi venne però smentita dagli inquirenti, rintracciando anche il Bertoli accreditato come l’omonimo, senza però riuscire a provare il legame tra il nome nella lista e l’attentatore alla Questura. Nella requisitoria su Gladio il Procuratore Ugo Giudiceandrea arrivò a togliere ogni tipo collegamento tra Bertoli e Gladio, ma anche tra questa e ogni azione eversiva compiuta in Italia. Bertoli veniva quindi sganciato da Gladio, e nel contempo dichiarato anarchico. Lombardi nelle sue ricostruzioni provò a riannodare i fili della prima inchiesta, quella sui mandanti e complici di Bertoli, riprendendo i collegamenti con il gruppo padovano de La Rosa dei Venti, aggiungendo ad essi le dichiarazioni di Labruna e i nastri da lui registrati tra il 1973 e il 1974 proprio a riguardo del Golpe, intersecandoli con il gruppo de La fenice e l’attentato di Azzi del 7 aprile 1973 sul treno direttissimo Torino-Genova-Roma. Il 20 giugno 1997, grazie proprio alle dichiarazioni di Siciliano e Digilio, vennero iscritte nel registro degli indagati quindici persone. Per gli affiliati alla destra veneta Carlo Maria Maggi, Giorgio Boffelli e Francesco Neami, scattarono gli arresti. Nel maggio del 1998 i pubblici ministeri Stefano Dambruoso, Massimo Meroni e Maria Grazia Pradella chiesero il rinvio a giudizio per Maggi, Boffelli, Digilio, Spiazzi e Neami. Per tutti l'accusa sarebbe stata quella di concorso in strage con Bertoli. Rimanevano da decidere invece le sorti del generale Gianadelio Maletti e del colonnello Sandro Romagnoli, imputati di omissione di atti d'ufficio e di soppressione e sottrazione di atti e documenti concernenti la sicurezza dello Stato. Il 18 luglio 1998 venne emessa la sentenza-ordinanza del giudice Antonio Lombardi. La sentenza-ordinanza ricostruiva in maniera precisa e puntuale il legame tra Ordine Nuovo e Bertoli. Il 6 aprile 1999, davanti ai giudici della quinta corte d'Assise di Milano, cominciò il processo. Il 01 marzo 2000 il PM Maria Grazia Pradella chiese l'ergastolo per Maggi, Boffelli, Neami e Spiazzi, e 12 anni per Maletti. La collaborazione fece invece scattare la prescrizione dei reati per Digilio. L'11 marzo la Quinta Corte d'Assise, dopo sei giorni di camera di consiglio, emise una sentenza di condanna all’ergastolo per Carlo Maria Maggi, Giorgio Boffelli, Amos Spiazzi e Francesco Neami. Quindici anni di carcere vennero inflitti al generale Maletti. Erano stati condannati i vertici di Ordine Nuovo per aver ordito la strage, e i vertici dei Servizi per averli coperti. Il 27 settembre 2002 la sentenza di primo grado venne però ribaltata. Dopo nove ore di camera di consiglio la Corte d'Assise d'Appello di Milano assolse tutti gli imputati perché, secondo i giudici, il fatto non sussisteva o per non aver commesso il fatto. La testimonianza di Carlo Digilio, riguardo alla presenza in via Stella di Bertoli, venne considerata come non credibile, a causa della confusione iniziale sulle date della settimana in cui l’attentatore era stato a Verona, e sulla presenza o meno di ordigni esplosivi. Questo inficiava l’intera accusa verso gli imputati Maggi, Boffelli e Neami, presenti con Bertoli nell’appartamento di Soffiati. La Corte di Appello tenne inoltre come buone le testimonianze dei membri del Kibbutz fornite dagli israeliani, che insieme al passaporto e ai suoi timbri facevano ulteriormente fede sulla genuinità delle dichiarazioni dell’attentatore, smentendo ancora una volta non solo Digilio, accusato di aver mentito per poter continuare a mantenere i suoi privilegi di giustizia, ma anche le altre persone che testimoniarono di aver visto Bertoli fuori da Israele nel periodo compreso tra il febbraio del 1971 e il maggio del 1973. Veniva inoltre bollato come un errore di datazione quella riportata sulla nota ufficiale UCLAT, l’Unité de coordination de la lutte anti-terroriste, con il quale si riferiva la presenza di Bertoli in Francia nel novembre del 1972. Amos Spiazzi venne invece assolto dall’essere considerato il trait d’union tra il gruppo finanziatore genovese e quello esecutore padovano, a causa della mancanza di una prova del coinvolgimento degli uni e degli altri nell’attentato del 17 maggio 1973. Non vennero invece prese in considerazione le testimonianze dei due politici del Pci, che avevano saputo della possibile strage dal conte Loredan due giorni prima dell’attentato. In appello era stato inoltre stato ascoltato a sorpresa il capo del Sismi, il generale Nicolò Pollari, che spiegò come la data del 1966 presente sulla scheda di Bertoli al Sid fosse dovuta ad una semplice ridenominazione dovuta al nuovo titolario. Anche Maletti venne assolto, e anzi, secondo la Corte compì addirittura il suo dovere nel non riferire ciò che sapeva all’Autorità giudiziaria. Bertoli secondo la Corte di Assise di Appello di Milano tornava ad essere un anarchico che aveva agito da solo, senza nessun collegamento con Ordine Nuovo e con il Sid. Il 01 febbraio 2003 la Procura Generale di Milano presentò il ricorso contro la sentenza di assoluzione. Secondo la Procura, la Corte di Assise di Appello aveva ignorato una grande mole di prove, tenendone buone solo poche altre. Per quanto riguardava l’appartenenza di Bertoli al Sid aveva preferito credere a Pollari, in carica solo da sette giorni e senza alcuna prova delle sue parole, rispetto alle testimonianze dei militari Viezzer, Genovese e Cogliandro. La Corte aveva inoltre ignorato che tutti coloro che avevano aiutato Bertoli a fuggire dall’Italia erano sì anarchici, ma anche informatori del Sid, degli americani o del Mossad. Il processo sulla strage davanti alla Questura arrivò così in Cassazione. L’11 luglio 2003 l’ultimo dei gradi di giudizio ribaltò ancora una volta la sentenza, annullando le assoluzioni di Maggi, Boffelli e Neami, ma confermando quelle di Spiazzi e di Maletti. La Corte nella sentenza si spese parecchio nell’analisi delle dichiarazioni di Digilio. Indubbiamente erano emerse discongruità tra le dichiarazioni del testimone sul tempo in cui Bertoli era stato in via Stella, sulla presenza di armi, e sulle persone che avevano partecipato alle riunioni precedenti. Questo lo portava ad essere un testimone su alcune cose poco credibile, ma prendendo anche solo i singoli fatti non si poteva dichiarare come inventata la conoscenza tra Maggi e Bertoli; non si poteva inoltre non considerare come nell’appartamento di via Stella fossero state sequestrate nel 1974 alcune armi e alcune bombe a mano; come lo stesso appartamento fosse stato usato in precedenza per tenere nascosta una persona, l’avvocato Forziati che doveva essere chiamato a testimoniare contro Ordine Nuovo di Trieste e Padova, oltre a tutto ciò non si potevano trascurare le decine di testimonianze che profilavano Bertoli come appartenente all’estrema destra. Per tutte queste motivazioni le dichiarazioni di Digilio vennero ritenute credibili solo limitatamente ai fatti non essenziali della vicenda. Le dinamiche narrate da Digilio indicavano comunque il coinvolgimento del gruppo di Ordine Nuovo di Carlo Maria Maggi nell’attentato. Il 01 dicembre 2004 il nuovo processo di Appello si risolse di nuovo con l’assoluzione di tutti gli imputati, quella di Maggi per insufficienza di prove. La Cassazione, il 13 ottobre 2005, confermò la sentenza. Ancora una volta però, la Suprema Corte di Cassazione stabilì che l’attentato era stato voluto da Ordine Nuovo, che Bertoli fu usato, e che nascose i nomi dei mandanti per timore e per i vincoli di omertà.

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