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sabato 7 settembre 2024

sintesi processi e sentenze strage di Bologna

Indagini e processi L’iter giudiziario della strage di Bologna si compone finora di cinque processi, due dei quali sono ancora in corso, a 41 anni di distanza dal fatto (giugno 2021). Il primo processo, quello principale, ebbe come imputati principali i terroristi dei Nar, insieme a Licio Gelli e alcuni ufficiali del Sismi (ex Sid), il servizio segreto militare dell’epoca (già condannati nel processo al c.d. “Supersismi” celebrato a Roma). Il secondo processo, il cosiddetto processo Ciavardini (dal nome dell’imputato principale, pure appartenente ai Nar), è di fatto una costola del primo, celebrata presso il tribunale dei minori perché l’imputato aveva solo 17 anni all’epoca della strage. primo). Il terzo processo, il cosiddetto processo sui depistaggi, approfondisce le indagini sulle responsabilità dei servizi segreti e il ruolo di Massimo Carminati, esponente della Banda della Magliana legato ai Nar. Il quarto processo, il cosiddetto processo Cavallini (dal nome del principale imputato, pure membro dei Nar) è ora in fase di Cassazione dopo la conferma della condanna dell'imputato all'ergastolo il 27 settembre 2023. Il quinto processo, il processo Bellini, che include la cosiddetta “inchiesta sui mandanti” relativa ai finanziamenti da parte della P2 della strage, si è aperto sempre a Bologna nel 2021, e il 6 aprile 2022 la Corte di Assise di Bologna ha condannato all'ergastolo Paolo Bellini, l'ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio, a sei anni, e Domenico Catracchia, ex amministratore di condomini in via Gradoli a Roma, accusato di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini, a quattro anni. Sentenza confermata l'8 luglio 2024 dalla Corte di Assise di Appello di Bologna che ha ribadito le condanne di Bellini, Catracchia e Segatel. A questi giudizi si aggiunge la lunghissima istruttoria incentrata sulla figura del tedesco Thomas Kram e la cosiddetta “pista palestinese”, terminata in un nulla di fatto. Si tratta di una delle vicende giudiziarie più complesse e tormentate perché i depistaggi orchestrati dal vertice della P2, anziché limitarsi a coprire prove e fabbricare capri espiatori, come accaduto in precedenza, puntavano a creare una confusione tale da “rendere indecifrabile il quadro istruttorio”, come scrissero i primi inquirenti. Una proliferazione di piste in cui si mescolano dati veri, falsi e verosimili, suggerite o amplificate da campagne di disinformazione a mezzo stampa, che ha fatto perdere moltissimo tempo ai giudici e ha generato un durevole senso di confusione nell’opinione pubblica. Un polverone che un variegato e agguerrito fronte innocentista continua a risollevare per contestare la validità le condanne passate in giudicato. Processo ai NAR Il primo processo è stato il più lungo (quindici anni, dal 1980 al 1995) e tormentato. Tra i primi elementi portati all’attenzione degli inquirenti, vi furono le dichiarazioni riportante da un detenuto vicino agli ambienti di destra, Vettore Presilio, circa un mese prima della strage: aveva raccontato al magistrato di sorveglianza che un camerata vicino alla destra eversiva padovana (regno degli ordinovisti di piazza Fontana, di Massimiliano Fachini, legato a Franco Freda, e poi a Gilberto Cavallini dei NAR) gli aveva preannunciato che nella prima settimana di agosto ci sarebbe stata un’azione così eclatante che ne avrebbero parlato tutti i giornali. In breve tempo, prende corpo una pista d’indagine che vede al centro galassia ribollente della destra eversiva italiana, in cui, alla fine degli anni Settanta, i reduci delle formazioni “storiche” Ordine nuovo (il gruppo neonazista la cui struttura clandestina ha organizzato le Stragi di piazza Fontana e piazza Loggia) e Avanguardia nazionale si mescolano alle nuove leve pronte a tutto, dai NAR a Terza posizione al Movimento Rivoluzionario Popolare (MRP), alla criminalità comune e organizzata (i processi hanno documentato gli stretti legami tra NAR e banda della Magliana, con Massimo Carminati a fare da ponte). Una galassia eversiva in cui ancora si teorizza la strage. In documenti coevi alla bomba del 2 agosto, infatti, per esempio in quello stilato da Mario Tuti, terrorista a cui Mambro e Fioravanti erano molto legati, si argomenta come il terrorismo “spontaneista” del tipo praticato dai NAR (che non producevano testi teorici) contempli anche atti indiscriminati, accanto agli attentati individuali. E appena quattro giorni prima di Bologna, a Milano si era sfiorata la strage per un’autobomba parcheggiata all’uscita di palazzo Marino, delitto impunito per cui è stato a lungo indagato un affiliato ai NAR. Nelle indagini sono coinvolti inoltre personaggi collegati alla Loggia massonica P2, come il criminologo Aldo Semerari. Ai primi di settembre del 1980, il capo della P2 Licio Gelli indica a Elio Cioppa, ufficiale del SISDE affiliato alla Loggia, la necessità di battere la pista internazionale. È il primo atto di una drammatica serie di depistaggi: quello verso la “pista libanese”, che ipotizza la responsabilità della locale Falange insieme a terroristi di destra europei, ispirata dall’intervista di un leader palestinese con una giornalista vicina al SISMI, prontamente raccolta dal Procuratore capo di Bologna Ugo Sisti; quello della cosiddetta valigia del depistaggio, piena di armi, esplosivi e documenti, predisposta dal SISMI e fatta trovare (sulla base di presunte confidenze di una fonte inesistente) in uno scompartimento di seconda classe del treno espresso 514 Taranto-Milano il 13 gennaio 1981, nell’ambito di un’operazione chiamata Terrore sui treni, per indirizzare le indagini verso due fantomatici terroristi neri d’oltralpe; quello alimentato dalle fantasiose dichiarazioni di Elio Ciolini, che adombra il coinvolgimento del leader latitante di Avanguardia nazionale Stefano Delle Chiaie e di una fantomatica Loggia di Montecarlo, impegnando (a vuoto) gli inquirenti per mesi; quello della “pista libica”, che ipotizza una connessione tra la Strage di Bologna e quella di Ustica. Tra il 1984 e il 1985, però, l’inchiesta e il processo celebrato davanti alla Corte d’Assise di Roma sul cosiddetto Supersismi, ovvero un gruppo di potere interno al servizio segreto militare, cominciano a far luce sulle responsabilità dell’intelligence nell’inquinamento dell’inchiesta sul 2 agosto. Dopo sette anni di indagini tormentate, segnate anche da conflitti tra i magistrati incaricati delle indagini, che portarono a un intervento del CSM e alla sostituzione di alcuni inquirenti, il dibattimento si apre nel gennaio 1987. Imputati illustri, insieme ai giovani terroristi dei NAR Giuseppe Valerio (detto Giusva) Fioravanti e Francesca Mambro, l’ordinovista romano Paolo Signorelli, il già ricordato Massimiliano Fachini. L’ipotesi accusatoria “a cerchi concentrici” (dietro la strage e chi la esegue materialmente ci sarebbe un’associazione sovversiva, di cui farebbero parte, insieme ai terroristi neri, il capo della P2 Licio Gelli e i depistatori del SISMI) non regge in giudizio. I NAR Mambro e Fioravanti sono condannati per strage, in base a un compendio di nove indizi (tra cui le accuse del loro sodale Massimo Sparti, l’omicidio di Ciccio Mangiameli, neofascista palermitano di Terza posizione, che avrebbe potuto fare rivelazioni pericolose, le incongruenze negli alibi), e per banda armata, insieme a Cavallini e altri, mentre Licio Gelli, il faccendiere Francesco Pazienza e gli ufficiali del SISMI Pietro Musumeci (P2) e Giuseppe Belmonte sono condannati a pene pesantissime per i depistaggi (Corte d’Assise di Bologna, sentenza dell’11 luglio 1988). Nel luglio 1990, la Corte d’Assise d’Appello di Bologna ribalta clamorosamente il verdetto, mandando tutti assolti, com’era accaduto nel primo processo per la strage di piazza Fontana (Corte d’Assise d’Appello di Bologna, sentenza del 18 luglio 1990). I missini chiedono di cancellare la dicitura «strage fascista» dalla targa commemorativa posta sul luogo dell’eccidio, nella sala d’attesa della stazione, con il favore dell’allora premier Andreotti. Nel marzo 1991, mentre infuriano le polemiche collegate alla rivelazione della rete stay behind italiana Gladio, il presidente della Repubblica Cossiga chiede scusa all'MSI, di cui all’epoca è segretario Pino Rauti, già fondatore di Ordine nuovo. Nel febbraio 1992, però, la Cassazione, pronunciandosi a Sezioni unite, demolisce la sentenza d’appello: difetta di motivazione, è illogica, priva di coerenza, non ha valutato correttamente prove e indizi. L’appello è da rifare e il giudizio di rinvio conferma l’impianto accusatorio del primo grado (Corte di Cassazione, Sezioni unite, sentenza del 12 febbraio 1992). Nel maggio del 1994, Mambro e Fioravanti sono nuovamente condannati all’ergastolo per strage (Corte d’Assise d’Appello di Bologna, sentenza del 16 maggio 1994), condanne passate in giudicato in Cassazione nel novembre 1995, insieme a quelle per banda armata e depistaggio (Corte di Cassazione, Sezioni unite, sentenza del 23 novembre 1995). Solo Sergio Picciafuoco, criminale comune legato ai NAR e sospettato di legami coi servizi che al momento dell’esplosione si trovava alla stazione, inizialmente condannato per strage, è rinviato a nuovo giudizio e assolto in via definitiva nel 1997. Nel frattempo, nel giugno 1994, poco dopo la formazione del primo governo Berlusconi, sostenuto da Alleanza nazionale (partito erede del MSI), Mambro e Fioravanti rilasciano al «Corriere della Sera» l’intervista dal titolo Loro al governo, noi all’ergastolo, sui vecchi compagni di militanza missini. Poco dopo nasce a Roma il comitato “E se fossero innocenti?”, trasversale alle appartenenze politiche (tra i promotori l’ex terrorista di Prima linea Sergio d’Elia), che dà vasta eco mediatica alle tesi difensive dei due condannati, sebbene già ampiamente confutate in sede di giudizio. Il 10 ottobre 2014, il Tribunale ordinario di Bologna riconosce, in una causa civile con parti civili la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero degli Interni, Mambro e Fioravanti come responsabili dei danni a seguito della condanna da loro subita nel 1995. Processo Ciavardini Il secondo processo è una costola del primo: Luigi Ciavardini, membro dei NAR, aveva ricevuto una comunicazione giudiziaria già nel 1986, perché erano emersi elementi circa il suo possibile coinvolgimento nella strage. Ma nel 1980 era minorenne, quindi doveva essere giudicato dal Tribunale apposito. Per evitare il rischio di interferenze con il primo procedimento e problemi come la perdita della “visione d’insieme”, o la frammentazione del materiale probatorio in due giudizi separati, il giovanissimo membro dei NAR (nel frattempo condannato in via definitiva nel 1991 per l’omicidio del Giudice Mario Amato) è condotto in giudizio solo nel 1997. Anche questo processo segnato da spettacolari ribaltamenti: assolto in primo grado nel 2000 (Tribunale per i minorenni di Bologna, sentenza del 30 gennaio 2000), Ciavardini è condannato in Appello nel 2002 (Corte d’Appello di Bologna, sezione per i minorenni, sentenza del 9 marzo 2002); nel 2003 la Cassazione annulla la condanna (Corte di Cassazione, sentenza del 17 dicembre 2003), ma un anno dopo la Corte d’Appello minorile di Bologna rigetta l’annullamento. Solo nel 2007 la condanna per strage diventa definitiva (Corte di Cassazione, sentenza dell’11 aprile 2007). La condanna si basa su un complesso d’indizi che collega il giovane terrorista a Mambro e Fioravanti: secondo la ricostruzione giudiziaria, i due NAR, nel timore che Ciavardini facesse rivelazioni pericolose, prima lo minacciarono di morte, poi “trattarono” con lui, coprendo il suo ruolo nell’omicidio Amato. Processo dei depistaggi Un terzo processo collegato alla Strage del 2 agosto scaturisce dalla lunga e complessa attività istruttoria condotta presso l’ufficio istruzione di Bologna tra gli anni Ottanta e Novanta intorno alla strage sul treno Italicus e quella del 2 agosto 1980, che si conclude con il rinvio a giudizio, tra gli altri, del colonnello Federigo Mannucci Benincasa, capo del centro di controspionaggio di Firenze dal 1971 al 1991, e di Massimo Carminati, membro di spicco della Banda della Magliana, molto legato a Giusva Fioravanti e ai NAR. Sono entrambi indagati per azioni depistanti in relazione alla strage di Bologna (derubricate come «calunnia», poiché il reato di depistaggio sarebbe stato introdotto solo nel 2016): nel caso di Mannucci Benincasa, tra varie condotte ormai prescritte sopravvive un’incriminazione per aver diffuso informazioni false su Gelli, mentre Carminati è coinvolto (anche in base alle dichiarazioni del pentito della Banda della Magliana Maurizio Abbatino) a partire da un deposito d’armi nella sua diponibilità, da cui sembrava provenire un mitra truccato contenuto nella valigia del depistaggio. Condannati in primo grado del 2000, sono entrambi assolti in Appello (Corte d’Assise d’Appello di Bologna, sentenza del 21 dicembre 2001) e in Cassazione (Corte di Cassazione, sentenza del 30 gennaio 2003). Archiviazione pista palestinese Nel 2001 emerge una nuova pista d’indagine internazionale, quella palestinese, alimentata dalle attività della Commissione Mitrokhin. Nel 2005 la Procura di Bologna apre un fascicolo e nel 2011 iscrive al registro degli indagati due ex estremisti di sinistra tedeschi, Christa Margot Frolich e Thomas Kram, che aveva pernottato a Bologna tra l’1° e il 2 agosto 1980. Kram sarebbe stato collegato al terrorista e mercenario Carlos, a sua volta legato al Fronte Popolare di Liberazione della Palestina. Secondo la “pista palestinese”, la Strage del 2 agosto sarebbe stata una ritorsione per una violazione del cosiddetto lodo Moro, ovvero l’accordo d’intelligence che garantiva il libero transito di armi e uomini dei gruppi palestinesi sul suolo italiano, i quali, in cambio, non avrebbero compiuto attentati (a determinare la “rottura” sarebbe stato l’arresto di un militante palestinese nelle Marche nel 1979). Il lodo ha trovato riscontri documentali in sede storiografica, secondo i quali, però, nel 1980 l’accordo reggeva ancora. In sede d’indagine, la “pista Kram” si rivela inconsistente, l’indagine si conclude con l’archiviazione nel 2015 (Tribunale di Bologna, Ufficio del giudice per le indagini preliminari, ordinanza del 9 febbraio 2015). Processo Cavallini Nel primo processo, il NAR Gilberto Cavallini era stato condannato solo per banda armata (mentre altri processi avevano accertato la sua responsabilità nell’omicidio del Giudice Amato e in altri delitti). In considerazione dell’importante ruolo di supporto logistico fornito ai NAR condannati, tuttavia, nel 2017 Cavallini viene rinviato a giudizio per strage. Il processo si apre il 21 marzo 2018 e dopo due anni di dibattimento, Cavallini è condannato in primo grado (Corte d’Assise di Bologna, sentenza del 7 gennaio 2020). In secondo grado la Corte di Assise di Appello di Bologna conferma la condanna di Cavallini con sentenza del 27 settembre 2023. La pronuncia conferma la ricostruzione delineata dal primo e dal secondo processo; rafforza inoltre il quadro di responsabilità della destra eversiva dell’epoca. Ancor più cruciale, anche grazie all’impegno delle parti civili, le nuove indagini hanno fatto emergere ulteriori elementi a rinforzo delle ipotesi di contatti tra i NAR e i servizi segreti, ipotesi rinverdite anche dai nuovi elementi che tornano a collegare Fioravanti all’omicidio Mattarella come esecutore materiale, su mandato mafioso. Inchiesta sui mandanti e processo Bellini Il lavoro certosino dei consulenti dell’associazione dei famigliari delle vittime della strage nell’ultimo decennio sulle copie digitalizzate degli atti dei processi ha fatto emergere elementi di enorme interesse. In particolare, dall’incartamento del processo celebrato al Milano per il crack del Banco Ambrosiano del piduista Roberto Calvi, riaffiora il cosiddetto documento Bologna, un foglio che reca nell’intestazione il nome della città e un numero di conto bancario, che insieme a un altro appunto di Gelli, relativo a cospicui movimenti di denaro prima della strage, per tramite di tale “M. C.” (identificato in Mario Ceruti, factotum di Gelli e suo “cassiere” in Svizzera, stando alla Commissione P2), per un totale di ben 5 milioni di dollari, è il punto di partenza di una nuova istruttoria, condotta dalla Procura Generale di Bologna (dopo che la locale Procura della Repubblica aveva chiesto l’archiviazione): la cosiddetta inchiesta sui mandanti. La denominazione è suggestiva, ma non ci sarà nessun potenziale mandante alla sbarra: il procedimento, nel valutare le responsabilità degli imputati (un altro possibile esecutore materiale e nuovi depistatori), rivaluterà alla luce dei nuovi elementi il ruolo di Gelli e altre figure di vertice della P2 come Umberto Ortolani e Federico Umberto D’Amato in veste di possibili finanziatori e ispiratori della strage e dei relativi depistaggi, per i quali è chiamato in causa anche il giornalista Mario Tedeschi, anche lui deceduto. Il principale imputato del nuovo processo è Paolo Bellini, accusato di strage (in concorso con i NAR già condannati, Gelli, Ortolani e D’Amato). Nato e cresciuto a Reggio Emilia, legato alla destra di Avanguardia Nazionale, reo confesso per l’omicidio del militante di sinistra Alceste Campanile nel 1975, a lungo latitante in Brasile sotto falso nome, rientra poi in Italia per acquisire i brevetti da pilota, oltre a dedicarsi a fiorenti traffici illegali di mobili antichi e opere d’arte. Diventa poi un killer di ‘ndrangheta e, detenuto in carcere con un boss mafioso, è tra gli attori di un filone parallelo della trattativa Stato-mafia, e infine diventa collaboratore di giustizia. Era stato già indagato per la strage: la Procura Generale ha revocato il suo proscioglimento del 28 aprile 1992 a seguito dell’esibizione di un video amatoriale girato la mattina del 2 agosto alla stazione, da cui risulterebbe presente sulla banchina del primo binario poco prima dell’esplosione. Lo ha identificato la sua ex moglie, facendo venir meno il suo vecchio alibi («ci ha usati», pare abbia detto la donna in un’intercettazione). Ad aggravare la posizione di Bellini ci sono i rapporti documentati con Picciafuoco, sicuramente presente alla stazione il 2 agosto, e un’intercettazione ambientale del gennaio 1996, in cui Carlo Maria Maggi (reggente di Ordine nuovo in Veneto, condannato per la Strage di Brescia) dice che la Strage di Bologna «l’hanno fatta loro» riferendosi ai NAR di Fioravanti, e fa riferimento a un «aviere» (ricordiamo la passione per il volo e il brevetto da pilota di Bellini) di cui «dicono che portava una bomba». Il generale Quintino Spella era stato rinviato a giudizio per depistaggio (art. 375 del Codice penale, introdotto nel 2016 grazie a una battaglia condotta in primis dal Presidente dell’associazione delle vittime del 2 agosto, Paolo Bolognesi), ma è morto nel gennaio 2021, ultranovantenne. Nel 1980 era capocentro del SISDE a Padova; il magistrato di sorveglianza Giovanni Tamburino, su indicazione dei Carabinieri, lo aveva allertato in relazione all’allarme lanciato da Vettore Presilio prima della strage. Spella negava tutto: ammetterlo, d’altra parte, avrebbe dovuto dire dar conto dell’inerzia e delle omissioni dell’epoca, per questo gli era stato contestato il depistaggio. Per lo stesso reato è sotto processo l’allora Capitano dei Carabinieri Piergiorgio Segatel: è accusato di aver mentito, poiché nega di aver interpellato, in prossimità della strage, la moglie di un membro di Ordine nuovo, proprio per cercare notizie sul colossale attentato di cui si parlava negli ambienti di estrema destra, di cui aveva riferito Presilio. Domenico Catracchia, infine, è imputato per falsa testimonianza a pubblico ufficiale. All’epoca dei fatti, era titolare dell’agenzia che amministrava un immobile in via Gradoli, a Roma, di cui - stando all’atto d’accusa - il SISDE si serviva abitualmente. Le parti civili e la Procura Generale di Bologna hanno infatti accertato che nel 1981 i NAR avevano ben due covi in via Gradoli, ai numeri civici 65 e 96. E quello al civico 96 si trovava nella stessa unità immobiliare in cui aveva vissuto il capo delle BR Mario Moretti durante il sequestro Moro, nel 1978, e l’appartamento era riconducibile a una società collegata ai servizi segreti. Secondo l’ipotesi accusatoria del primo processo, la Strage di Bologna era stata organizzata dai vertici dell’eversione di destra “storica”, a Roma e in Veneto, ai quali facevano riferimento le nuove leve di giovanissimi; un reticolo criminale facente capo, a sua volta, alla Loggia P2, dunque protetto e tutelato dalle forze di sicurezza, i cui massimi vertici erano affiliati alla Loggia di Gelli. La P2 sarebbe stata l’attore politico-criminale responsabile non solo dei depistaggi, ma della regia e dell’uso politico della strage, mentre Fioravanti e i NAR sarebbero serviti da “killer della P2” (lo sospettava anche Cristiano Fioravanti, fratello di Giusva, e lo disse al Giudice Falcone). L’ipotesi, all’epoca, non trovò conferme sufficienti in sede di giudizio, anche a causa del ciclone di depistaggi che devastò l’istruttoria. Quarant’anni dopo, però, il processo Cavallini e l’inchiesta sui mandanti hanno portato alla luce elementi nuovi che riprendono, confermano e approfondiscono molti sentieri interrotti del primo processo, collegandoli tra loro, a disegnare un quadro che consente di rivalutarne il valore e il significato. Il 6 aprile 2022 la Corte di Assise di Bologna ha condannato all'ergastolo Paolo Bellini, l'ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel, accusato di depistaggio, a sei anni, e Domenico Catracchia, ex amministratore di condomini in via Gradoli a Roma, accusato di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini, a quattro anni. L'8 luglio 2024 la Corte di Assise di Appello di Bologna ha confermato in secondo grado le condanne all'ergastolo per Bellini, i sei anni a Segatel, e i quattro a Catracchia. (Testo di Benedetta Tobagi)

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