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sabato 7 settembre 2024

1979 Sintesi Omicidio Mino Pecorelli

wikipedia L'indagine - aperta all'indomani del delitto - seguì diverse direzioni, coinvolgendo nomi come Massimo Carminati (esponente dei Nuclei Armati Rivoluzionari e della Banda della Magliana), Antonio Viezzer e i fratelli Fioravanti. Fiorirono diverse ipotesi sul mandante e sul movente: da Licio Gelli (risultato poi estraneo ai fatti) a Cosa nostra, fino ad arrivare ai petrolieri. Franca Mangiavacca, segretaria e compagna del giornalista, confidò spaventata al portiere dello stabile di via Tacito di essere stata seguita il 6 marzo, mentre con Pecorelli raggiungeva la redazione, da uno sconosciuto che avrebbe identificato in seguito come il falsario Antonio Chichiarelli, membro della Banda della Magliana vicino a Danilo Abbruciati e responsabile del falso comunicato n. 7 delle Brigate Rosse in cui si annunciava la morte di Aldo Moro e la sua sepoltura presso il lago della Duchessa[13]. Rosita Pecorelli, la sorella di Mino, raccontò che il giorno in cui fu ucciso si doveva incontrare, infatti, con una persona di nome Antonio. Chichiarelli (che potrebbe essere stato un informatore del giornalista e non complice dei suoi killer come si è voluto far intendere) spiegò alla moglie di conoscere il vero motivo della morte del giornalista e cioè che aveva appurato dei fatti sul sequestro Moro. Poco dopo il delitto, il falsario abbandonò in un taxi un borsello con indizi che riportavano al sequestro Moro e con alcune schede dattiloscritte riguardanti il delitto Pecorelli, ma non fu mai interrogato. Verrà ucciso nel 1984 anch'egli in circostanze mai chiarite. A proposito Maurizio Abbatino, un altro dei capi della Banda che poi si sarebbe pentito, racconterà che: «Fu Franco Giuseppucci a dirmi che a uccidere Pecorelli era stato Massimo Carminati. Mi disse che la richiesta era stata fatta da Pippo Calò a Danilo Abbruciati. Franco aggiunse che Pecorelli era un giornalista sbirro... che stava creando problemi a un personaggio politico (Giulio Andreotti, ndr). Tornando indietro non direi più niente perché è da quel processo che sono iniziati tutti i miei guai. Mi ritirarono il passaporto. Avrei dovuto capire subito che certe persone non si toccano. Andreotti e Carminati non potevano essere processati insieme.» Vittorio Carnovale invece racconterà di aver saputo da Edoardo Toscano che ad aver organizzato l'omicidio sarebbero stati Enrico De Pedis e Abbruciati con esecutori materiali Carminati e Michelangelo La Barbera il quale avrebbe poi riconsegnato l'arma a De Pedis. Invece Fabiola Moretti, prima di "pentirsi di essersi pentita", dichiarerà di aver saputo dal suo compagno Abbruciati che la pistola gli veniva riconsegnata da La Barbera e che la avrebbe riportata al deposito[14]. Il processo vedrà coinvolti Giulio Andreotti, Gaetano Badalamenti, Claudio Vitalone, Pippo Calò, Michelangelo La Barbera e Massimo Carminati[15] e si concluderà con l'assoluzione di tutti gli imputati "per non aver commesso il fatto".[16] Il pentito Walter Sordi si disse certo "della partecipazione di Giusva Fioravanti all'omicidio e su mandato di Licio Gelli". Tesi affermata anche da Cristiano Fioravanti, fratello di Giusva: "Alibrandi mi disse che anche Valerio si era prestato a fare favori a quelli della Magliana uccidendo per conto della banda, insieme a Massimo Carminati, il giornalista Pecorelli". Come conseguenza di queste dichiarazioni, nel novembre del 1991 Licio Gelli e Antonio Viezzer (tenente colonnello del Sismi) furono accusati di essere i mandanti dell'omicidio e i due fratelli Fioravanti e Carminati di esserne gli esecutori ma tutti furono prosciolti[17]. Il 6 aprile 1993 il pentito Tommaso Buscetta, interrogato dai magistrati di Palermo, parlò per la prima volta dei rapporti tra politica e mafia e raccontò, tra le altre cose, di aver saputo dai boss Gaetano Badalamenti e Stefano Bontate che l'omicidio Pecorelli sarebbe stato compiuto nell'interesse di Giulio Andreotti il quale sarebbe stato il mandante insieme a Badalamenti e Pippo Calò. La magistratura aprì un fascicolo sul caso. In questo faldone vennero aggiunti, man mano che le indagini proseguivano e per effetto delle deposizioni di alcuni pentiti della Banda della Magliana, il senatore Andreotti, l'allora pm Vitalone, Badalamenti, Calò in qualità di mandanti, e inoltre Michelangelo La Barbera e Carminati in qualità di esecutori materiali. Alle dichiarazioni di Buscetta si unirono quelle dei pentiti della Magliana Antonio Mancini, Vittorio Carnovale, Fabiola Moretti - che poi ritratterà - e Maurizio Abbatino. Quest'ultimo nel 2018 rivelerà che "fu Franco Giuseppucci a dirmi che a uccidere Pecorelli era stato Massimo Carminati. Mi disse che la richiesta era stata fatta da Pippo Calò a Danilo Abbruciati. Franco aggiunse che Pecorelli era un giornalista-sbirro... che stava creando problemi a un personaggio politico (Giulio Andreotti, ndr.). Tornando indietro non direi più niente perché è da quel processo che sono iniziati tutti i miei guai. Mi ritirarono il passaporto. Avrei dovuto capire subito che certe persone non si toccano. Andreotti e Carminati non potevano essere processati insieme". Mancini disse di aver saputo da De Pedis che il giornalista era stato ucciso da Carminati e La Barbera e che, secondo quanto riferitogli da Abbruciati, la richiesta arrivò da Calò e il mandante fu Vitalone; il delitto sarebbe servito alla Banda per favorire la crescita del gruppo procurando entrature negli ambienti giudiziari e finanziari romani, ossia negli ambienti che detenevano il potere[18]. Carnovale invece raccontò di aver saputo da Edoardo Toscano che ad aver organizzato l'omicidio sarebbero stati Enrico De Pedis e Abbruciati con esecutori materiali Carminati e La Barbera il quale avrebbe poi riconsegnato l'arma a De Pedis. Il pentito, pur non ritrattando, per paura si rifiutò di deporre affidando ai giudici le dichiarazioni rese in istruttoria. Invece la Moretti, prima di "pentirsi di essersi pentita", dichiarò di aver saputo dal suo compagno Abbruciati che la pistola gli fu riconsegnata da La Barbera e che la riportò al deposito. Quando era stata scarcerata aveva ricevuto pressioni da tale Angelo, legato ai servizi segreti e in stretto rapporto con il suo ex compagno Abbruciati; due anni dopo le rivelazioni, precipitata in una grave depressione, ritratterà tutte le accuse; Abbatino dirà di essere certo del fatto che la donna fu spinta a ritrattare per poi venire protetta grazie a un accordo con membri della Banda della Magliana della fazione cosiddetta dei "testaccini"[19]. Raffaele Cutolo, boss della camorra, durante il processo raccontò che, secondo quanto gli avevano raccontato il suo capozona romano Nicolino Selis e Franco Giuseppucci, la mafia non c'entrava niente ma era un fatto della Banda della Magliana: il giornalista era in combutta con la Banda e nello stesso tempo collaborava con il generale Dalla Chiesa.[20] La tesi accusatoria prospettava quindi che il delitto fosse stato deciso da Andreotti "il quale, attraverso l'onorevole Claudio Vitalone, avrebbe chiesto ai cugini Ignazio e Antonino Salvo l'eliminazione di Pecorelli. I Salvo avrebbero attivato Stefano Bontate e Gaetano Badalamenti, i quali, attraverso la mediazione di Pippo Calò, avrebbero incaricato Danilo Abbruciati e Franco Giuseppucci di organizzare il delitto, che sarebbe stato eseguito da Massimo Carminati e dal mafioso Michelangelo La Barbera"[21]. Il 24 settembre 1999 fu emanata la sentenza di assoluzione per tutti gli imputati "per non avere commesso il fatto"[22][23] (in base all'articolo 530 c.p.p.)[24]. Il 17 novembre 2002, la Corte d'assise d'appello di Perugia condannò Andreotti e Badalamenti a 24 anni di reclusione come mandanti dell'omicidio, confermando invece l'assoluzione per i presunti esecutori materiali del delitto[25][26]. Il 30 ottobre 2003 la Corte di cassazione annullò senza rinvio la condanna inflitta in appello a Giulio Andreotti e a Badalamenti, affermandone definitivamente l'innocenza[27][28][29][30][31][32]. Un altro processo a carico di Andreotti, pur dichiarando i fatti prescritti, stabilirà però che questi ebbe rapporti stabili e amichevoli con Cosa nostra fino al 1980.[33] Nel 2019, a seguito della scoperta di un verbale di interrogatorio al neofascista Vincenzo Vinciguerra, nel quale questi dichiarava che la pistola con cui era stato freddato Pecorelli sarebbe stata in possesso dell'ex avanguardista Domenico Magnetta, la giornalista Raffaella Fanelli riuscì a far riaprire le indagini, anche con il supporto della famiglia di Pecorelli[34][35]. Nel dicembre di quell'anno si venne a sapere però che l'arma sarebbe stata distrutta sei anni prima come riportato in un verbale recuperato a Milano[36]. Secondo la Fanelli non esisteva il verbale che attestava la distruzione dell'arma.[37] Sempre la Fanelli, ospite ad Atlantide nel marzo del 2023, ha raccontato di aver saputo da poco dal generale dei Carabinieri Antonio Cornacchia, anch'egli iscritto alla P2, che Antonio Chichiarelli, suo informatore, 48 ore dopo la morte di Pecorelli aveva fatto una chiamata anonima al procuratore capo della Repubblica di Roma, Giovanni De Matteo, che si occupava del caso insieme a Domenico Sica, indicando in Licio Gelli il mandante dell'omicidio di Pecorelli e collegando la sua morte a quella di Vittorio Occorsio, magistrato che stava indagando sulla P2 prima di essere ucciso. La Fanelli ha raccontato anche che Pecorelli aveva incontrato Gelli e Federico Umberto D'Amato pochi giorni prima di morire probabilmente perché stava scrivendo un articolo sui due. Nella stessa puntata di Atlantide il conduttore Andrea Purgatori riporta la recente notizia secondo la quale la famiglia Pecorelli ha chiesto approfondimenti riguardo al fatto che il giornalista possa essere stato percosso prima di essere ucciso dato che è risultato avere avuto le ossa del naso e quattro costole rotte; gli avvocati puntano anche su un altro elemento, quello di una cravatta ritrovata in prossimità del luogo dell'omicidio e che certamente non era di Pecorelli.[2][38]

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