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sabato 7 settembre 2024

Sintesi Omicidio Michele Reina

Nel 1990 le indagini sui "delitti politici" siciliani (oltre a quello di Reina, gli omicidi del Presidente della Regione Piersanti Mattarella, di Pio La Torre e del suo autista Rosario Di Salvo), fino ad allora separate, vennero unificate in un'unica istruttoria che venne affidata al giudice istruttore Gioacchino Natoli, con la motivazione che i tre omicidi erano da inquadrare in un'unica strategia mafiosa della "Cupola":[10] la conclusione delle indagini portò la Procura di Palermo a quella corposa requisitoria di 1 690 pagine[6] che, depositata il 9 marzo 1991, costituì l'ultimo atto investigativo di Giovanni Falcone, il quale la firmò nonostante non fosse totalmente convinto poiché, a suo parere, l'inchiesta non scavò in profondità le reali motivazioni dei delitti.[11] Nel giugno 1991 il giudice Natoli rinviò a giudizio per il delitto Reina i membri della "Cupola" di Cosa Nostra (Michele Greco, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Rosario Riccobono, Giuseppe Greco detto "Scarpuzzedda", Bernardo Brusca, Francesco Madonia, Antonino Geraci) sulla base del cosiddetto "teorema Buscetta" (secondo cui gli omicidi di un certo rilievo non potevano avvenire senza l'assenso del vertice mafioso).[12] Il processo di primo grado per i "delitti politici" Mattarella-Reina-La Torre si aprì il 12 aprile 1992 nell'Aula bunker del carcere dell'Ucciardone, di fronte alla I Sezione Penale del Tribunale di Palermo, presieduta dal dott. Gioacchino Agnello con giudice a latere la dott.ssa Silvana Saguto;[13] la vedova, Marina Pipitone, rifiutò di costituirsi parte civile nel processo in segno di protesta nei confronti dell'inchiesta ritenuta troppo riduttiva.[14] Il dibattimento si concluse nell'aprile 1995 con la condanna all'ergastolo dei membri della "Cupola" di Cosa Nostra come mandanti dell'omicidio Reina: i boss Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Brusca, Bernardo Provenzano, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nenè Geraci.[15] Nelle motivazioni della sentenza, i giudici ritennero non provato un movente “politico” dell’omicidio (ossia legato alle posizioni di apertura ad una collaborazione con il PCI portate avanti dal Reina) ma piuttosto ricollegarono il delitto al fatto che l'uomo politico si era messo contro una cordata di imprenditori edili legati a Vito Ciancimino (e quindi ai Corleonesi), come affermato dal collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo.[16][15] La sentenza venne poi confermata in Appello e in Cassazione, divenendo definitiva.[17]

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