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domenica 8 settembre 2024

1984 Sintesi Strage Rapido 904

La Corte d'assise di Firenze, il 25 febbraio 1989, condannò alla pena dell'ergastolo Giuseppe Calò, Guido Cercola e altri imputati legati al clan camorristico Misso (Alfonso Galeota, Giulio Pirozzi e Giuseppe Misso, detto «il boss del rione Sanità»), con l'accusa di strage. Inoltre, condannò a 28 anni di detenzione Franco D'Agostino, a 25 anni Schaudinn, e condannò altri imputati nel processo per il reato di banda armata[28][29]. Il secondo grado venne celebrato dalla Corte d'assise d'appello di Firenze, presieduta dal giudice Giulio Catelani, con sentenza emessa il 15 marzo 1990. Le condanne all'ergastolo per Calò e Cercola furono confermate, mentre la pena di Di Agostino fu ridotta da 28 a 24 anni. Misso, Pirozzi e Galeota furono invece assolti per il reato di strage, ma condannati per detenzione illecita di esplosivo[30][31]. Il tedesco Schaudinn venne invece assolto dal reato di banda armata, ma fu confermata la sua condanna per strage con pena ridotta a 22 anni[30][31]. Il 5 marzo 1991 la prima sezione penale della Corte di cassazione, presieduta dal giudice Corrado Carnevale, annullò le condanne in appello, confermando le tre assoluzioni di Galeota, Misso e Pirozzi[3]. Il sostituto procuratore generale Antonino Scopelliti era contrario e mise in guardia i giudici dal far prevalere l'impunità del crimine. La Cassazione ordinò la ripetizione del processo, dinnanzi ad altra sezione della Corte d'assise d'appello di Firenze. Quest'ultima, il 14 marzo 1992, confermò gli ergastoli per Calò e Cercola, condannò Di Agostino a 24 anni e Schaudinn a 22[32]. Misso fu condannato a 3 anni per detenzione di esplosivo, mentre le condanne di Galeota e Pirozzi furono ridotte a 1 anno e 6 mesi ciascuno[32]. Quello stesso giorno Galeota e Pirozzi, insieme alla moglie Rita Casolaro e alla moglie di Giuseppe Misso, Assunta Sarno, stavano ritornando a Napoli quando, durante il viaggio, incorsero in un agguato: la loro auto (una Ford Fiesta XR2) fu speronata e mandata fuori strada da alcuni killer della camorra che li seguivano sull'autostrada A1, all'altezza del casello di Afragola-Acerra, alle porte di Napoli[33][34][35]. Le armi da fuoco dei killer lasciarono sul terreno i corpi senza vita di Galeota e della Sarno, quest'ultima trucidata con un colpo di pistola in bocca. Soltanto Giulio Pirozzi e sua moglie riuscirono miracolosamente a uscire vivi da quella che fu una vera e propria mattanza di camorra, anche grazie al sopraggiungere di un'auto della polizia stradale dal senso inverso di marcia, che impedì ai killer di completare il lavoro. Pirozzi, benché ferito gravemente, si salvò anche perché si finse morto nel corso della sparatoria. L'auto usata dagli assassini, una Lancia Delta HF, fu poi abbandonata nei pressi dell'aeroporto di Capodichino e data alle fiamme[36]. La quinta sezione penale della Cassazione, il 24 novembre 1992, confermò la sentenza riconoscendo la «matrice terroristico-mafiosa» dell'attentato[1][2][37]. Dal processo era stata stralciata la posizione di Massimo Abbatangelo, deputato del MSI, poiché la Camera dei deputati aveva concesso l'autorizzazione a procedere, ma non all'arresto[3][38][39]. Dopo essere stato condannato in primo grado all'ergastolo, nel 1991[3][40][41], il 18 febbraio 1994 la Corte d'assise d'appello di Firenze assolse il parlamentare missino dal reato di strage[42][43], ma lo condannò a 6 anni di reclusione per aver consegnato dell'esplosivo a Giuseppe Misso, nella primavera del 1984[44]. Le famiglie delle vittime fecero ricorso in Cassazione contro quest'ultima sentenza, ma persero e dovettero pagare le spese processuali[45][46]. Nell'ottobre 1993, Pippo Calò, nel corso di un’audizione dinanzi alla Commissione stragi presieduta da Libero Gualtieri, si proclamò estraneo alla strage del Rapido 904 ed affermò di essere interessato alla riapertura del processo, lasciando balenare l’intenzione di volere fare delle dichiarazioni “importanti”: lanciò infatti ambigui messaggi affermando con linguaggio criptico che Pier Luigi Vigna – il pm della Procura di Firenze che lo fece condannare - "è stato cattivo“ e “che la mafia non c’entra con quella strage: traete voi le conseguenze e chiedetevi chi ha fatto scappare Schaudinn“[47][48]. Guido Cercola si suicidò in carcere a Sulmona il 3 gennaio 2005, soffocandosi con dei lacci di scarpe. Rinvenuto agonizzante in cella, morì durante il trasporto in ospedale[49][50][51][52][53]. Il 27 aprile 2011 la Direzione distrettuale antimafia di Napoli emise un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti del boss mafioso Salvatore Riina per la strage, precisando che Riina è considerato il mandante della strage[54][55][56]. Il 25 novembre 2014 si aprì, a Firenze, il processo. Secondo la DDA napoletana, il quantitativo di Semtex-H utilizzato per la strage del Rapido 904 fu acquistato da Cosa nostra agli inizi degli anni ottanta: parte di esso fu usato anche in altri attentati attribuiti a Riina, come la strage di via d'Amelio (in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta), la strage di Capaci (in cui morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta) e le stragi del 1993 a Roma, Milano e Firenze, nonché i falliti attentati all'Addaura e allo stadio Olimpico di Roma, mentre un'altra parte di questa tipologia di esplosivo fu sequestrata dalla DIA di Palermo nel febbraio del 1996 all'interno dell'arsenale-bunker di Giovanni Brusca scoperto a San Giuseppe Jato[57]; la strage del Rapido si inserì perciò in un disegno strategico di Riina per far apparire l'attentato come un fatto politico e come risposta al maxiprocesso contro Cosa nostra[58][59]. Il 14 aprile 2015 Riina fu poi assolto per mancanza di prove[60][61][62][63]. Responsabilità civile Risarcimento I familiari delle vittime della strage del treno 904 non hanno mai ottenuto nessun risarcimento. La decisione del Viminale è stata contestata dall'Associazione tra i familiari delle vittime della strage sul treno Rapido 904 del 23 dicembre 1984 perché «si pone in grave contraddizione con le sentenze di merito a carico degli imputati».[64]

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