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domenica 8 settembre 2024

1988 Sintesi caso omicidio Mauro Rostagno

Bettino Craxi e Claudio Martelli, quest'ultimo presente al funerale di Rostagno, indicarono subito la responsabilità della mafia nell'omicidio, ma nel 1996 la procura di Trapani reagì all'indicazione della pista mafiosa, accusando i due esponenti socialisti di voler depistare le indagini. La pista mafiosa fu quella che venne proposta subito dopo il delitto anche dai quotidiani siciliani e nazionali. Il delitto mafioso fu la pista percorsa immediatamente dagli inquirenti: il capo della squadra mobile Calogero Germanà affermò che si trattava di un delitto tipicamente mafioso mentre il maggiore Nazareno Montanti, Comandante del Reparto Operativo del Comando Provinciale dell'Arma dei Carabinieri di Trapani, lo riteneva un omicidio commesso da dilettanti, per il fatto del fucile esploso in mano al sicario.[14] Durante l'ultimo processo, che individuò in due esponenti della mafia siciliana i responsabili dell'omicidio, emerse in maniera evidente il modo maldestro con cui i Carabinieri di Trapani, comandati dal maggiore Nazareno Montanti, avevano condotto le indagini. Il pubblico ministero Gaetano Paci denunciò durante il processo come fossero scomparse delle prove, come testimoni chiave fossero stati ascoltati con ritardo e come le intercettazioni fossero state attivate solo otto mesi dopo l'omicidio.[14][15] Il magistrato dichiarò in aula: «Le prime indagini sull'omicidio di Mauro Rostagno condotte dai carabinieri del Reparto Operativo di Trapani furono scandite da troppe anomalie. In quest'aula abbiamo dovuto inevitabilmente processare certi atteggiamenti delle forze dell'ordine, ma anche di questo palazzo di giustizia, e in generale della città di Trapani. Perché troppe sono state le insufficienze investigative, le omissioni, le sottovalutazioni. Ma anche orientamenti di pensiero di taluni rappresentanti istituzionali dell'epoca naturalmente adesivi verso la presenza della mafia.[14]» Forte emerse il sospetto di tentativi di depistaggio sulle prime indagini che esclusero subito il movente mafioso.[14] I depistaggi Tuttavia negli anni successivi, l'indagine passò nelle mani di diversi magistrati che indagarono su piste alternative a quella mafiosa: infatti poco tempo prima di essere ucciso, Rostagno ricevette una comunicazione giudiziaria sull'uccisione del commissario Luigi Calabresi e avrebbe potuto, secondo quest'ipotesi, accusare gli ex compagni di Lotta Continua di coinvolgimento nel delitto; anche in questo caso non si raccolsero che scarsi indizi. Il "pentito" di LC Leonardo Marino aveva accusato Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani e Ovidio Bompressi dell'omicidio Calabresi e furono inviati avvisi di garanzia a gran parte dell'ex dirigenza del movimento extraparlamentare per coinvolgimento nel delitto o in rapine di autofinanziamento.[16] La pista che legava l'omicidio Rostagno al delitto Calabresi fu in realtà un depistaggio, suggerito da un carabiniere a un giudice milanese, che poi difatti la smentì.[17] Il colonnello dei Carabinieri Elio Dell'Anna attribuì al magistrato Lombardi (giudice istruttore nel processo per l'omicidio del commissario Calabresi) affermazioni come "il Rostagno era al corrente di tutte le motivazioni, compresi esecutori e mandanti concernenti l'omicidio Calabresi [...] il Rostagno aveva rotto i ponti con i suoi ex compagni di Lotta e forse aveva intenzione di dire la verità" e la convinzione che l'omicidio fosse maturato nel contesto di Lotta Continua. Lombardi invece negò decisamente di avere mai affermato che il delitto Rostagno era da collegarsi all'omicidio Calabresi.[17] Sofri, amico di Rostagno e a cui fu impedito di partecipare al funerale, fu uno dei più forti sostenitori della pista mafiosa difendendo sempre gli amici e la moglie di Rostagno che saranno accusati negli anni successivi.[16] Anche l'avvocato con cui il fondatore di Saman si era confidato, Giuliano Pisapia, smentirà seccamente le menzogne contenute nel rapporto del colonnello Dell'Anna: «Rostagno non voleva certo testimoniare contro i suoi compagni, come provano le registrazioni dei suoi interventi alla televisione privata di Trapani dove ribadiva la sua fiducia a Sofri e rivendicava la propria militanza in Lotta continua.[18]» La procura di Trapani, nel 1996, ipotizzò ancora - su indicazione della DIGOS - che il delitto potesse essere maturato all'interno di Saman per spaccio di stupefacenti tra i membri della comunità, suscitando forti polemiche. Emise mandati di cattura ad alcuni ospiti della comunità, individuati come esecutori materiali del delitto, a Cardella (all'inizio raggiunto solo da un avviso di garanzia) come mandante (che si rifugiò in Nicaragua) e alla Roveri, compagna di Rostagno, accusata di favoreggiamento; anche questa pista completamente inconsistente, per altro oggetto di pesanti speculazioni giornalistiche, fu poi abbandonata. La Roveri venne scarcerata dopo un periodo, e la sua detenzione per ordine del pm Garofalo venne duramente criticata da molti, tra cui lo stesso Adriano Sofri.[16][19] Taluni hanno parlato di questa pista come di un altro depistaggio.[17] In seguito Francesco Cardella e il suo autista Giuseppe Cammisa furono indicati come trafficanti di armi: un'inquietante teoria, che descriveva la morte di Rostagno come legata alla scoperta di un traffico d'armi con la Somalia, attraverso due ex dragamine della marina svedese acquistati dal Cardella per la Saman come sede "marina" della comunità, ma che spesso furono visti a Malta e, sembra, nel corno d'Africa. La pista famigliare e quella di Lotta Continua furono anche sostenute, per un periodo, da alcuni giornalisti, ad esempio da Marco Travaglio e Giuseppe D'Avanzo (quest'ultimo si scusò).[20] Il processo e le condanne Dopo alcune richieste di archiviazione e la costituzione di alcune parti civili, nel febbraio 2011 partì a Trapani il processo di primo grado per la morte di Rostagno, dopo 23 anni dall'uccisione del giornalista per mano mafiosa.[21][22] La Corte d'Assise della città siciliana, presieduta da Angelo Pellino, nel maggio 2014 ha condannato in primo grado all'ergastolo i boss trapanesi Vincenzo Virga e Vito Mazzara, accusati dell'omicidio di Rostagno.[23] Tra le motivazioni del delitto, deciso dai vertici di Cosa nostra trapanese vi sarebbero le sue numerose denunce del potere della criminalità mafiosa siciliana (specialmente sull'omicidio Lipari) e il rifiuto del giornalista a più miti consigli, fatto con minacce e pressioni.[24] Rimangono da accertare i rapporti tra Cosa nostra e la massoneria deviata denunciati da Beniamino Cannas e Caterina Ingrasciotta, sebbene le indagini furono più volte oggetto di depistaggio.[23][25] La Corte di assise di appello di Palermo con sentenza del 19 febbraio 2018, in parziale riforma della sentenza emessa di primo grado, ha assolto Vito Mazzara e ha invece confermato la condanna alla pena dell'ergastolo per Vincenzo Virga, come mandante dell'omicidio nella qualità di capo della famiglia mafiosa di Trapani.[26] Riguardo alla posizione del Mazzara, il giudice di appello ha ritenuto non sufficientemente affidabile la prova del DNA effettuata su frammenti lignei della carcassa di un fucile rinvenuti sul luogo del delitto, in particolare per effetto della mancata preventiva quantificazione del DNA sulle tracce rivenute nel sotto-canna dell'arma. In entrambi i gradi di giudizio, la difesa si era avvalsa, quale consulente di parte, del generale dei Carabinieri in congedo Luciano Garofano, già comandante del RIS di Parma (Reparto Carabinieri Investigazioni Scientifiche) dal 1995 al 2009. Relativamente al ruolo di Vincenzo Virga, la sentenza di secondo grado ha respinto, in quanto non supportata da alcun dato di fatto, l'ipotesi che successivamente alla deliberazione dell'omicidio, intervennero altri soggetti, estranei al contesto mafioso e comunque interessati alla eliminazione fisica di Mauro Rostagno - le cosiddette piste alternative - i quali anticiparono la realizzazione di quel deliberato e commisero per loro conto l'omicidio.[26] A novembre 2020, a 32 anni dalla morte, la Cassazione ha confermato l'ergastolo per il boss Vincenzo Virga, rigettando i ricorsi presentati dalla difesa di Virga e dalla procura generale di Palermo contro la sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Palermo del febbraio 2018.[27]

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