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domenica 8 settembre 2024

1983 Sintesi Strage Rocco Chinnici

Rocco Chinnici fu ucciso alle 8 del mattino del 29 luglio 1983 con una Fiat 126 verde, imbottita con 75 kg di esplosivo parcheggiata davanti alla sua abitazione in via Giuseppe Pipitone Federico a Palermo,[24] all'età di cinquantotto anni. Ad azionare il telecomando che provocò l'esplosione fu Antonino Madonia, boss di Resuttana, che si trovava nascosto nel cassone di un furgone rubato parcheggiato nelle vicinanze di via G. Pipitone Federico.[25] Accanto al suo corpo giacevano altre tre vittime raggiunte in pieno dall'esplosione: il maresciallo dei Carabinieri Mario Trapassi e l'appuntato Salvatore Bartolotta, componenti della scorta del magistrato, e il portiere dello stabile di via Pipitone Federico in cui Chinnici viveva, Stefano Li Sacchi. L'unico superstite fu l'autista Giovanni Paparcuri, che riportò gravi ferite. I primi ad accorrere sul teatro della strage furono due dei figli di Chinnici, Elvira e Giovanni, rispettivamente di 24 e 19 anni, che erano in casa al momento dell'esplosione. Dopo i funerali, la salma di Chinnici venne tumulata presso il cimitero comunale di Misilmeri, suo paese natale. Nel 2002 la Corte d'assise di Caltanissetta, dopo un complicato iter processuale durato quasi vent'anni, ha condannato all'ergastolo come mandanti dell'attentato i vertici della "Cupola" mafiosa (Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Raffaele Ganci, Antonino Geraci, Giuseppe Calò, Francesco Madonia, Salvatore Buscemi, Salvatore Montalto, Matteo Motisi, Giuseppe Farinella) e, come esecutori materiali, Antonino Madonia, Calogero Ganci, Stefano Ganci, Vincenzo Galatolo, Giovanni Brusca, Giuseppe Giacomo Gambino, Giovan Battista Ferrante, Francesco Paolo Anzelmo.[26][27][28] La scoperta del "diario" di Chinnici Dopo la strage di via Pipitone Federico, i familiari del giudice Chinnici trovarono tra le sue carte un'agenda su cui erano annotati una serie di pensieri, appunti e considerazioni in merito alle situazioni che viveva, in particolare riguardanti l'ambito della sua vita professionale: si leggevano commenti molto pesanti soprattutto sull'attività dei colleghi della Procura di Palermo (Giovanni Pizzillo, Ugo Viola, Francesco Scozzari e Vincenzo Pajno), accusati addirittura da Chinnici di complicità con ambienti mafiosi e di ostacolare le indagini del suo ufficio.[29][30] La famiglia consegnò il "diario" alla Procura di Caltanissetta, che si occupava delle indagini sulla strage, che a sua volta lo trasmise al Consiglio Superiore della Magistratura, la quale aprì un procedimento nei confronti dei magistrati citati.[31] Falcone, convocato in audizione davanti al CSM, affermò: «Il collega Chinnici prendeva appunti su tutti gli episodi che gli apparivano inconsueti e questo perché temeva che le persone che potessero volere la sua morte avrebbero potuto annidarsi anche all’interno del palazzo di giustizia. Egli mi sollecitava a fare altrettanto, dicendomi che in caso di una mia morte violenta gli appunti avrebbero potuto costituire una traccia per risalire agli assassini...» La pubblicazione di ampi stralci del "diario" sulla stampa causò numerose polemiche, con conseguente imbarazzo e preoccupazione nelle Istituzioni e negli uffici giudiziari coinvolti.[32] Infine nel settembre 1983 il CSM chiuse il caso, disponendo il trasferimento d'ufficio nei confronti del solo Scozzari, che invece preferì dimettersi spontaneamente dalla magistratura.[33][34]

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