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sabato 5 ottobre 2024

Sintesi Strage Moby prince

Commissioni di inchiesta, processi e condanneIl processo di I grado (Livorno) Immediatamente dopo la collisione, la Procura di Livorno apre un fascicolo per omissione di soccorso e omicidio colposo; le indagini, coordinate dal procuratore capo Antonino Costanzo, furono assegnate prima a Luigi De Franco e poi a Carlo Cardi, che sostenne l'accusa in giudizio. Il processo di primo grado inizia il 29 novembre 1995. Gli imputati sono 4: il terzo ufficiale di coperta dell'Agip Abruzzo Valentino Rolla, accusato di omicidio colposo plurimo e incendio colposo; Angelo Cedro, comandante in seconda della Capitaneria di Porto e l'ufficiale di guardia Lorenzo Checcacci, accusati di omicidio colposo plurimo per non avere attivato i soccorsi con tempestività; Gianluigi Spartano, marinaio di leva, imputato per omicidio colposo per non aver trasmesso la richiesta di soccorso. In istruttoria il giudice per le indagini preliminari, Roberto Urgese, decide di archiviare le posizioni dell'armatore di Navarma, Achille Onorato, e del comandante dell'Agip Abruzzo, Renato Superina[32]. Il processo, pieno di momenti di tensione, si conclude due anni dopo: la sentenza viene pronunciata nella notte tra il 31 ottobre e il 1º novembre 1997. In un'aula piena di polizia e carabinieri, chiamati dal tribunale per la tutela dell'ordine pubblico, il presidente Germano Lamberti (nel 2009 condannato a 3 anni per corruzione in atti giudiziari in una vicenda di illeciti edilizi) lesse il dispositivo della sentenza con cui furono assolti tutti gli imputati perché «il fatto non sussiste»[33]. La sentenza verrà però parzialmente riformata in appello: la terza sezione penale della Corte d'Appello di Firenze dichiara il non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato. Nel 2013, susciterà ampia eco la condanna dell'allora presidente del collegio, Lamberti, a 4 anni e 9 mesi di reclusione per corruzione in atti giudiziari, in ordine ad alcune vicende legate alla commissione di illeciti ambientali all'isola d'Elba (Cass. pen., sez II, n. 7793/2013, CED). Il processo di II grado (Firenze) Il 5 febbraio 1999 la III Sezione della Corte d'Appello di Firenze dichiara di "non doversi procedere nei confronti del Rolla in ordine ai reati ascrittigli perché estinti per intervenuta prescrizione". I giudici di Firenze aggiungono tuttavia in sentenza "(...) non si può non rilevare, che l'inchiesta sommaria della Capitaneria, che per alcuni versi è la più importante perché interviene nell'immediatezza del fatto ed è in qualche modo in grado di indirizzare i successivi accertamenti e di influire sulle stesse indagini penali, può essere condotta da alcuni dei possibili responsabili del disastro". Il processo parallelo contro le manomissioni a bordo (pretore di Firenze) Contemporaneamente al processo principale, nell'allora pretura vennero giudicate due posizioni stralciate: quella del nostromo Ciro Di Lauro, che si autoaccusò della manomissione, sulla carcassa del traghetto, di un pezzo del timone, e quella del tecnico alle manutenzioni di Navarma, Pasquale D'Orsi, chiamato in causa da Di Lauro. I due erano accusati di frode processuale, per aver modificato le condizioni del luogo del delitto, ovvero per aver orientato diversamente la leva del timone in sala macchine da manuale ad automatico, nel tentativo di addossare l'intera responsabilità della vicenda al comando del Moby Prince[34]. Nel corso di una udienza, Ciro Di Lauro confessò di aver manomesso il timone[35]. Il pretore di Livorno però assolse entrambi gli imputati perché si sarebbe trattato di un «falso grossolano», ossia di un tentativo inidoneo a trarre in errore i consulenti tecnici e i periti: il fatto fu così qualificato come «reato impossibile». La sentenza verrà confermata sia dal processo di appello sia in Cassazione. Verso un terzo processo Nel 2006 la Procura di Livorno, su richiesta dei figli del comandante Chessa, decise di riaprire un'inchiesta sul disastro del traghetto (RGNR 9726/2006 mod. 44)[36]. Nel 2009 l'associazione dei familiari delle vittime presieduta dai fratelli Chessa, in una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, chiede a questi di farsi portavoce presso il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama della richiesta di rendere pubblici i tracciati radar, le immagini satellitari o qualsiasi altro materiale in possesso delle autorità statunitensi relativo alla situazione nella rada del porto di Livorno durante le ore del disastro del Moby Prince.[37] Nell'aprile 2009, l'onorevole Ermete Realacci ha presentato una nuova interrogazione parlamentare riguardo al coinvolgimento di altre navi, in particolar modo imbarcazioni militari statunitensi presenti la notte della tragedia nel porto di Livorno e riguardo alla presenza mai accertata definitivamente dei tracciati radar e delle comunicazioni radio registrate a Camp Darby[38]. L'istanza di riapertura delle indagini per appurare le reali responsabilità, con motivazioni non condivise da tutti i familiari delle vittime, è stata presentata dal legale dei figli del Comandante Chessa nel 2006[39]. Con maggiore attenzione era stato chiesto di occuparsi della questione del traffico illecito di armi e della presenza di navi militari o comunque navi al di fuori del controllo della Capitaneria di Porto, che possano essere causa o una delle concause del disastro[40]. Nel 2006, l'ipotesi di trovare immagini satellitari della sciagura prese di nuovo corpo dopo il ritrovamento di alcune bobine di immagini negli uffici della Procura di Livorno[41]. Nel giugno del 2009, a seguito delle indagini riaperte dalla procura, viene sentito nuovamente come persona informata sui fatti il mozzo di bordo Alessio Bertrand, unico sopravvissuto al rogo[42]. Nel luglio del 2009, su richiesta della magistratura, sono state eseguite scandagliature della zona di porto in cui è avvenuto lo scontro, e stando alle prime indiscrezioni, sarebbero emersi alcuni reperti utili alle indagini[43]. Il 5 maggio 2010 il PM Antonio Giaconi presenta richiesta di archiviazione, accolta dal GIP di Livorno. Secondo la procura labronica, le ricostruzioni prospettate dai Chessa non troverebbero alcun riscontro nelle risultanze probatorie acquisite. A pagina 140 della richiesta di archiviazione si legge inoltre: «A questo punto, sgombrato il campo da ricostruzioni viziate da suggestioni, cattiva conoscenza e interpretazione degli atti processuali e interessate forzature, è doveroso ricostruire il sinistro individuando le reali cause dello stesso e, conseguentemente, le responsabilità, anche al fine di valutare l'attuale possibilità di esercizio dell'azione penale. La presente indagine infatti non si è limitata alla verifica degli scenari ricostruttivi ipotizzati dalla difesa dei Chessa, verificandone l'infondatezza con particolare riferimento alle cause e dinamica della tragica collisione, ma ha avuto il proposito di dare una risposta esaustiva alle domande sulle reali cause dell'evento. I dati significativi si possono riassumere nel seguente modo: 1) il traghetto Moby Prince è uscito dal porto di Livorno con destinazione Olbia impostando la velocità massima di crociera (o prossima alla massima) secondo prassi, nella convinzione del comando nave di trovarsi in condizioni di assoluta normalità dal punto di vista meteo marino e quindi anche della visibilità e perciò nella errata convinzione di conoscere e poter controllare otticamente la situazione delle navi alla fonda nella zona della rada e in particolare di quelle che si trovavano in prossimità della rotta più diretta per Olbia; 2) la apparente normalità delle condizioni creava il tipico meccanismo psicologico di allentamento della attenzione nel personale di plancia e nel resto dell'equipaggio, clamorosamente esplicitato, in particolare, dalle condizioni con le quali la nave Moby Prince veniva fatta viaggiare, avendo il portellone prodiero di seconda difesa - prescritto dalla normativa MARPOL 73-78 - ANNEX 1 - aperto (cfr. da ultimo la relazione di consulenza tecnica depositata dall'ing. Gennaro il 17 novembre 2009) e dell'impianto sprinkler (antincendio) non funzionante, in quanto disabilitato; 3) improvvisamente la nave entrava in un banco di nebbia (v., da ultimo: le dichiarazioni di Mattei e Valli - gli ormeggiatori che hanno salvato la vita all'unico superstite del Moby Prince - al P.M. il 23.11.2009, quelle di Muzio - pilota del porto che uscì la notte della tragedia - rese al P.M.l'8/11/2009, e ancora le dichiarazioni dell'unico superstite del Moby Prince, Bertrand, nuovamente sentito dal P.M. il 9 giugno 2009, e quelle di Rolal in sede di nuovo interrogatorio il 5 giugno 2009), che coglieva totalmente impreparata la plancia del traghetto in quanto non visibile otticamente, tenuto conto del buio della notte e della collocazione del banco stesso che si trovava basso sull'orizzonte verso il largo rispetto alla direzione del traghetto in modo da non costituire ostacolo né per l'osservazione delle luci della costa né per quella delle stelle; 4) la plancia del Moby Prince, presa alla sprovvista e con la nave ormai lanciata alla velocità di crociera, provvedeva incautamente ad accendere i fari collocati a prua della nave - c.d. cercanaufraghi - (prima spenti: v. dichiarazione del pilota Muzio sopra richiamate, e che aveva poco prima incrociato il Moby Prince conducendo una nave all'interno del porto) nella speranza di migliorare la visibilità sullo specchio di mare davanti a sé, ma in realtà peggiorando le condizioni di visibilità; 5) l'urto con l'Agip Abruzzo, ferma all'ancora con prua orientata su 300° circa (v. da ultimo sul punto la relazione di consulenza tecnica del P.M. dell'ing. Rosati e dott. borsa depositata il 17 giugno 2009 che riassume il complesso degli elementi che consentono con certezza tale ricostruzione dell'orientamento della nave) avveniva poco dopo interessando la fiancata di destra con un angolo calcolato di circa 71° prora - poppa (109° prora - prora), navigando il Moby Prince con direzione di circa 191° a una velocità di circa 18 nodi. Come è stato spiegato dal C.T. ing. Gennaro, la collisione ha avuto caratteristiche fondamentalmente anelastiche, "nel senso che tutta l'energia cinetica disponibile da parte del M.P. al momento della collisione con l'Agip Abruzzo si è tramutata in lavoro di lacerazione, deformazione, riscaldamento, rumore e scintille" (par. 19 della relazione); 6) pressoché immediatamente si incendiava il greggio della cisterna 7 di destra della petroliera, dentro la quale era penetrata la prua del Moby Prince. Infatti la penetrazione della prua del Moby Prince nella cisterna sollevava dinamicamente il livello del carico (5,71 metri sul livello del mare: v. rel. Gennaro) e conseguentemente parte del carico si riversava sulla parte prodiera del ponte di coperta (ponte prodiero di manovra) elevato di circa 7,8 metri sulla superficie del mare, incendiandosi; 7) l'apertura della porta stagna prodiera e l'impianto di ventilazione in funzione agevolano decisamente l'ingresso di greggio e vapori nei garage e nei locali interni del Moby Prince, cominciando a divampare il fuoco su tutta la parte prodiera del traghetto coinvolgendo il personale di plancia e progressivamente le restanti parti e locali della nave; Una causa della tragedia - anche se è doloroso affermarlo - è dunque individuabile in una condotta gravemente colposa, in termini di imprudenza e negligenza, della plancia del Moby Prince. La ricostruzione della dinamica dell'evento può apparire - come più volte sottolineato - banale nella sua semplicità, e dunque non accettabile emotivamente, prima che razionalmente, soprattutto in considerazione dell'enorme portata delle conseguenze che ne sono derivate in termini di vite umane. Occorre tornare al quesito di base: comprendere fino in fondo come sia possibile che personale di bordo ritenuto preparato, al comando di una nave dotata degli impianti per la sicurezza della navigazione secondo le regole in vigore all'epoca, possa avere così gravemente errato nella conduzione della nave; e come sia possibile che una collisione con una petroliera alla fonda, avvenuta a così poca distanza dal porto di Livorno abbia potuto avere così tragiche conseguenze...[14]» La Commissione parlamentare d'inchiesta Antefatto Dal 5 maggio 2013 ha preso avvio una campagna permanente per sostenere la lotta civile dei familiari delle vittime del Moby Prince per ottenere verità e giustizia. La campagna, chiamata #IoSono141[44] e ispirata al Movimento Yo Soy 132, è sostenuta dalle associazioni familiari delle vittime del Moby Prince e mira soprattutto a creare una forte spinta popolare di sostegno alla creazione di una Commissione parlamentare d'inchiesta sul Moby Prince[45]. Giova peraltro ricordare che già tra il giugno 1996 e il novembre 1997 diversi parlamentari dei vari gruppi politici ne proposero a più riprese l'istituzione sia alla Camera[46] che al Senato[47], ma senza ottenere successo. Creazione della Commissione Il 31 gennaio 2014, a seguito di un incontro a Sassari tra i familiari delle vittime del Moby e l'allora ministro della Giustizia Annamaria Cancellieri, viene consegnata a quest'ultima una sintesi di un dossier tecnico di 4000 pagine[48]: tale dossier, frutto del lavoro condotto negli ultimi anni dallo studio di ingegneria forense Bardazza di Milano su richiesta degli stessi familiari delle vittime, è teso a sconfessare punto per punto le motivazioni alla base delle conclusioni addotte dalla Procura di Livorno nel maggio del 2010 in merito alla richiesta di archiviazione dell'inchiesta-bis[49]. Il 27 marzo 2014 sono stati depositati in Senato due disegni di legge, da parte dei partiti Movimento 5 Stelle e Sinistra Ecologia Libertà, per l'istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta per fare luce sulla vicenda, accogliendo la richiesta dei parenti delle vittime[50]. A questi segue poi un terzo disegno di legge analogo, presentato questa volta dal Partito Democratico il 14 luglio: in questo caso il testo proposto dai senatori democratici viene considerato insoddisfacente sia dai familiari delle vittime che dai loro periti in quanto, a differenza degli altri due, si mira a ottenere una Commissione d'inchiesta limitata sia temporalmente che dal punto di vista del budget di cui la stessa potrà disporre, nonché monocamerale (anziché bicamerale, come fortemente voluto dai familiari delle vittime) e, pertanto, soggetta al rischio di decadere nel caso di interruzione anticipata della legislatura. Il 9 aprile 2015, proprio alla vigilia del 24º anniversario della tragedia, col via libera all'unanimità in commissione Lavori Pubblici del Senato viene mosso il primo decisivo passo all'istituzione della Commissione d'inchiesta, sulla cui approvazione definitiva è dunque atteso il pronunciamento dell'Aula[51]. La calendarizzazione del voto in Senato non avviene tuttavia nell'immediato, venendo anzi rimandata di svariati mesi, mesi durante i quali, in risposta a tale nuovo silenzio delle Istituzioni, Loris Rispoli e Angelo Chessa, in qualità di rappresentanti delle rispettive associazioni dei familiari, lanciano il loro appello al Presidente del Senato Pietro Grasso affinché proceda all'immediata calendarizzazione del testo[52]: l'appello viene raccolto e diffuso in maniera incessante sui social network, in particolare per mezzo della pagina Twitter ufficiale dedicata al Moby Prince[53], allo scopo di coinvolgere quante più persone possibili che contribuiscano a fare pressione sullo stesso Presidente Grasso, a cui vengono inviate centinaia di email in sostegno alla richiesta dei due familiari. Trascorsi oltre tre mesi, il 4 luglio prima[54] e il 15 luglio poi[55], viene avanzata da parte del M5S e di SEL la richiesta di calendarizzazione d'urgenza del testo votato all'unanimità in commissione il 9 aprile, richiesta su cui l'assemblea di Palazzo Madama si pronuncia tuttavia in entrambi i casi con voto contrario, suscitando rabbia e indignazione tra i parenti delle vittime. Finalmente viene fissata al 22 luglio la votazione del testo: al termine delle dichiarazioni di voto di alcuni esponenti di tutti i gruppi politici, il Senato si esprime all'unanimità sull'istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta sul Moby Prince[56][57][58][59][60] e Luchino Chessa dice al riguardo: «È un giorno storico per noi familiari delle vittime del Moby Prince, ma anche per tutti i cittadini italiani che vogliono giustizia e verità. Un importante segno di democrazia, visto che tutti i senatori, sia del governo che dell'opposizione, hanno votato a favore.» Relazione finale Il 22 gennaio 2018 la Commissione parlamentare d'inchiesta pubblica la relazione finale di 492 pagine.[61][62] Queste le principali conclusioni della relazione: La tragedia non è affatto riconducibile alla presenza di nebbia e/o alla negligenza dell'equipaggio del traghetto La nebbia è stata immotivatamente utilizzata come giustificazione del caos dei soccorsi coordinati dalla Capitaneria di porto, allora comandata dall'ammiraglio Sergio Albanese L'indagine della Procura di Livorno nel processo di primo grado si è rivelata carente e condizionata da fattori esterni L'accordo assicurativo siglato due mesi dopo l'incidente tra gli armatori delle due navi coinvolte ha condizionato l'operato dell'Autorità giudiziaria, a dimostrazione di ciò, a seguito di tale accordo, l'Agip Abruzzo è stata dissequestrata prima della definizione della fase processuale di primo grado, impedendo ogni ulteriore approfondimento. L'accordo prevedeva che la società Eni si assumesse i costi relativi ai danni alla petroliera e di inquinamento e la società NAVARMA i costi di risarcimento delle vittime del traghetto, chiudendo, di fatto, ogni possibile ipotesi di responsabilità Pur essendo la Moby Prince sotto sequestro, era comodamente accessibile a chiunque L'indagine medico-legale è stata eseguita in maniera lacunosa, concentrandosi sul riconoscimento delle vittime, senza appurare le cause della morte di ciascuna vittima L'Agip Abruzzo, al contrario di quanto riportato in fase di indagine processuale, si trovava in zona di divieto di ancoraggio. L'errore di posizionamento durante le indagini ha portato a escludere ogni responsabilità al comando della petroliera La Moby Prince ha subìto, per cause non chiare, un'alterazione nella rotta di navigazione che potrebbe aver influito sulle cause dell'impatto La morte dei passeggeri e dell'equipaggio non è avvenuta per tutti entro trenta minuti, come invece riportato negli atti processuali La Capitaneria di porto non aveva gli strumenti necessari per individuare la seconda nave, la Moby Prince, sebbene la responsabilità dei soccorsi fosse a suo carico, rivelandosi carente nella gestione della gravità della situazione e del tutto incapace di coordinare un'azione di soccorso Il procedimento penale a carico di Ciro Di Lauro per la tentata manomissione del timone non ha chiarito le motivazioni del gesto Il comportamento di ENI si è rivelato non chiaro a partire dalla comunicazione sulla provenienza della petroliera. L'Agip Abruzzo proveniva infatti da Genova e non da Sidi El Kedir (Egitto), come dichiarato, di conseguenza anche le dimensioni e la tipologia del carico potevano essere differenti da quanto dichiarato. La cisterna trovata aperta dopo l'incidente poteva quindi ipoteticamente contenere materiale in trasferimento su una bettolina. La seconda commissione parlamentare d'inchiesta Istituzione Una seconda commissione parlamentare d'inchiesta è stata istituita durante la XVIII legislatura, con delibera della Camera dei deputati del 12 maggio 2021. La Commissione aveva, tra gli altri, il compito di «ricercare e valutare nuovi elementi che possano integrare le conoscenze sulle cause e sulle circostanze del disastro» acquisite dalla prima commissione parlamentare, di «accertare eventuali responsabilità in ordine ai fatti» e di accertare con la massima precisione «le comunicazioni radio intercorse tra soggetti pubblici e privati nelle giornate del 10 e 11 aprile 1991, i tracciati radar e le rilevazioni satellitari».[63] La perizia del RIS La Commissione parlamentare d’inchiesta sulle cause del disastro della nave ha affidato al Reparto investigazioni scientifiche dei Carabinieri una perizia per accertare se a bordo della Moby Prince vi fosse o meno dell'esplosivo. L'analisi è stata svolta dal colonnello dei carabinieri Adolfo Gregori, comandante della sezione chimica del Reparto, e ha condotto all'affermazione secondo cui non c’era esplosivo nel locale motore dell’elica di prua e nel garage sovrastante all’interno del traghetto.[64] Relazione finale Secondo la relazione della Commissione, approvata il 15 settembre 2022, nel disastro sarebbe stata coinvolta una terza nave, che avrebbe ostacolato il percorso del Moby Prince, costringendolo ad una brusca ed imprevista virata (di circa 30°) e portandolo a colpire la petroliera. Secondo l’inchiesta, quest’ultima sarebbe stata ancorata in posizione irregolare (posizione individuata tramite foto satellitari statunitensi desecretate nel 2018), era avvolta in una nube di vapore acqueo dovuta alla probabile avaria dei sistemi idraulici e pochi minuti prima era stata colpita da un blackout che la rendeva di fatto invisibile. La dimostrazione di quest’ultima ricostruzione viene dagli ingegneri della società genovese Cetena, che hanno analizzato tutti i dati in possesso della Commissione, le condizioni meteo della giornata e le posizioni delle navi davanti a Livorno. Queste informazioni però non identificano la nave che avrebbe costretto la Moby Prince alla virata; s'ipotizza che sia l’ex peschereccio d’altura 21 Oktoobar II, con bandiera somala e di proprietà della Shifco di Mogadiscio. Questa imbarcazione venne trasformata in cargo e apparve anche in un’indagine sul trasporto illegale di armi da guerra. La Commissione ha verificato che questa nave era a Livorno il giorno del disastro.[65] La relazione esclude inoltre l'ipotesi dell'avaria a bordo del traghetto: «Il sistema delle eliche era in piena efficienza al momento della collisione, non vi era alcuna avaria né malfunzionamento ai sistemi della Moby Prince». Secondo il presidente della Commissione, Andrea Romano «l'ipotesi di una bomba esplosa a bordo del Moby Prince, insieme a quella della nebbia o della distrazione del comando del traghetto durante la navigazione, hanno contribuito a creare confusione su ciò che è realmente accaduto la notte del 10 aprile 1991» ed «Eni, che è una grandissima società ed è un vanto nazionale, forse sapeva che Agip Abruzzo si trovava dove non doveva essere, forse sapeva anche del black out o del vapore e perfino che forse era coinvolta in attività di bunkeraggio clandestino: noi abbiamo chiesto i materiali delle inchieste interne ma non li abbiamo avuti. Spero che chi lo farà in futuro sia più fortunato di noi».[66] Controversie e altre ipotesi L'ipotesi dell'attentato Al vaglio della magistratura passò anche l'ipotesi di un ordigno collocato all'interno del traghetto, che sarebbe stato quindi mandato fuori rotta dall'esplosione. Tale ipotesi, inizialmente molto accreditata[67][68][69][70], venne definitivamente scartata, durante lo svolgimento del processo, grazie a perizie[71] e testimonianze[72], in particolare quella dell'unico superstite, che in sede processuale ribadì che a bordo non vi fu alcuna esplosione[30][73] ma che dopo la collisione sia il traghetto che il mare intorno ad esso si incendiarono a causa del petrolio fuoriuscito dall'Agip Abruzzo[74]. Il traffico in rada L'ipotesi che si potessero trovare immagini e dati sullo scontro tra le due imbarcazioni negli archivi satellitari statunitensi[75] e in quelli delle basi NATO ebbe per qualche tempo una certa risonanza, ma fu successivamente categoricamente smentita[76]. La presenza di bettoline, magari impegnate nel furto di idrocarburi dalla Agip Abruzzo, è stata discussa nell'ambito della tesi secondo cui un'imbarcazione estranea tagliò la strada al traghetto, ma non è mai stata confermata. Il comandante della petroliera, nei messaggi iniziali inviati ai soccorritori, indicò più volte in una bettolina la nave coinvolta nello scontro[77], inconsapevole di cosa era accaduto davvero, cioè del fatto che lo scontro era avvenuto con il Moby Prince.[7] I primi messaggi radio del comandante della Agip Abruzzo potrebbero essere attribuiti alla concitazione del momento e alla scarsa visibilità provocata dal fumo dell'incendio[78]. Del resto alcuni marinai della Agip Abruzzo dichiararono di avere intravisto la sagoma della nave investitrice tra il fumo e le fiamme nei minuti successivi all'incidente, ma solo alcuni di loro riconobbero in essa un traghetto. A sostegno della tesi della presenza di almeno una bettolina a complicare la situazione sono essenzialmente tre elementi: la constatazione, alcuni giorni dopo l'incidente, che la cisterna 6 della Agip Abruzzo non era correttamente sigillata[79], il rinvenimento di un tubo semi carbonizzato idoneo al rifornimento di una nave di piccole dimensioni, la seguente annotazione delle ore 23:30 circa nel diario di bordo del capitano della "Efdim Junior": «Venivamo a conoscenza che due navi, una passeggeri e una cisterna, erano entrate in collisione ed era scoppiato un incendio. Decidevo di rimanere all'ancora a causa del gran numero di navi in movimento che si allontanavano dalla nave in fiamme e al gran numero di imbarcazioni che prendevano parte alle operazioni di ricerca e salvataggio con visibilità zero.» Contro l'ipotesi della bettolina incidono pesantemente le testimonianze verbalizzate durante il processo, rilasciate da più persone, tra cui l'avvisatore marittimo Romeo Ricci e il pilota di porto Federico Sgherri oltre a molti altri ufficiali dell'Agip Abruzzo e ormeggiatori del porto[80]. Riguardo a quali navi erano presenti nel porto quella sera e a dove esse si trovavano, almeno due mercantili statunitensi, presumibilmente la Cape Breton e la Gallant II, compaiono alla fonda assieme alla Agip Abruzzo in una fotografia scattata dal lungomare di Livorno durante il pomeriggio antecedente la tragedia. Sempre il capitano Gentile chiarisce, nella sua testimonianza, la posizione di alcune delle navi in rada poco dopo il disastro: «Vidi la sagoma dell'Agip Abruzzo appena uscito dal porto, ma non il Moby in fiamme [...] Avevo una petroliera sul lato sinistro, a circa 700-800 metri dall'Accademia navale. Poi c'era la petroliera messa in questa posizione. Sull'altro raggio c'erano altre quattro navi fra cui c'era anche una nave, forse di munizioni; mentre all'imboccatura nord, proprio all'altezza del Calambrone, c'era, illuminata, la nave americana che stava caricando munizioni.» Vi era inoltre da valutare il ruolo della famosa nave Theresa, menzionata in una misteriosa traccia audio, registrata alle 22,45 della notte dello scontro[81]: «This is Theresa, this is Theresa for the ship one in Livorno anchorage i'm moving out, i'm moving out....» (registrazione audio proveniente da "Theresa"[7]) Nei registri del porto di Livorno di quella notte non risulta essere mai stata presente una nave chiamata Theresa; solo nel 2013, confrontando le voci presenti nelle comunicazioni, si riuscì a capire che si trattava di un nome in codice usato dalla Gallant II. Non si chiarì mai, invece, a chi tale nave comunicò l'imminente abbandono (the ship one, altro nome in codice) del porto in tutta fretta. Anomalie nella ricostruzione dei fatti Un'ulteriore anomalia è data dalla circostanza secondo cui il traghetto, anche se contabilizzato, nel bilancio dello stesso 1991, per un valore pari a circa 7 miliardi di lire, era assicurato per 20 miliardi, somma liquidata da Unione Mediterranea di Sicurtà (poi Generali) nel febbraio 1992, quando le indagini preliminari non si erano ancora concluse. Un altro elemento molto controverso riguarda la navigazione della petroliera: secondo Snam, la Agip Abruzzo sarebbe giunta a Livorno direttamente da Sidi El Kedir, in Egitto, dopo 5 giorni di viaggio, mentre il sistema di controllo della Lloyd List Intelligence evidenzia che, prima di attraccare nello scalo toscano, la petroliera avrebbe effettuato soste a Fiumicino e a Genova. La relazione finale della Commissione parlamentare conferma che l'ultimo scalo dell'Agip Abruzzo era stato a Genova e non in Egitto.[82][83] La questione delle navi militari e somale Un punto mai chiarito, a causa dello stretto riserbo da parte delle autorità italiane e statunitensi in merito, è quello della presenza in rada (all'interno cioè della zona di porto teatro della sciagura) di navi militari statunitensi o di altre nazioni e delle loro eventuali attività[84], una delle quali potrebbe aver interferito con la manovra del traghetto. Appurato da verbali e registri che molte navi statunitensi transitavano e sostavano nel Porto di Livorno nella notte dell'incidente, esistono alcune zone d'ombra mai chiarite, in merito a un'eventuale responsabilità di queste ultime o dei loro carichi nella dinamica dello scontro[7]. La vicinanza della base statunitense di Camp Darby di fatto rendeva frequente la presenza di navi statunitensi nel porto. Nella notte in questione, molte navi militari erano ferme in rada sotto falso nome o con nomi di copertura, si presume eseguendo attività che non risultarono autorizzate dalla prefettura, come previsto dalla legge italiana.[84] Secondo alcune ipotesi, la dinamica dell'incidente si legherebbe ai traffici illeciti di armi e di rifiuti tossici tra Italia e Somalia[85][86][87]. Tale ricostruzione si basa principalmente sulla circostanza secondo cui nel porto di Livorno si trovava ormeggiato, la sera stessa dell'incidente, il peschereccio 21 Oktoobar II, teoricamente destinato alla commercializzazione di prodotti ittici ma asseritamente adibito al trasporto illecito di armi tra La Spezia, Marina di Carrara, Livorno e Gaeta, reso possibile dalla complicità di alcuni funzionari. Questa nave, appartenente alla Somali High Seas Fishing Company (Shifco), era stata donata dall'Italia nell'ambito della cooperazione allo sviluppo[88]; è stato quindi ipotizzato, sempre sostenendo che il Moby Prince sia stato ostacolato da una nave durante l'uscita dal porto, che essa fosse proprio il 21 Oktoobar II. È stato appurato che alcuni tra i passeggeri radunati nel salone De Luxe del Moby Prince avevano con loro i propri bagagli, come se fossero pronti a sbarcare; a seguito di ciò l'associazione dei familiari delle vittime guidata dai figli del comandante Chessa ha sostenuto che egli, capendo che in zona erano in atto alcuni traffici poco trasparenti e ritenendo non sicuro proseguire il viaggio in tali condizioni, avrebbe deciso di riportare la nave ed i passeggeri in porto, venendo però ostacolato da una terza nave e finendo per impattare contro la Agip Abruzzo[89]. La nave 21 Oktoobar II e la Shifco divennero poi soggetti d'interesse dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin nella loro inchiesta giornalistica sui traffici di armi e rifiuti, prima che venissero uccisi a Mogadiscio.

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