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sabato 7 settembre 2024

Sintesi sentenze strage Italicus

Le indagini Il 5 agosto 1974 viene rinvenuto in una cabina telefonica a Bologna un volantino di rivendicazione dell'attentato a firma Ordine Nero, che dichiarava: «Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l'autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti.» Al volantino fanno seguito delle telefonate anonime al Resto del Carlino di analogo tenore: «Con la bomba al tritolo che abbiamo messo sull'espresso Ro-Fi abbiamo voluto dimostrare alla Nazione che siamo in grado di mettere bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e quando ci pare… Giancarlo Esposti è stato vendicato». L'autore sia del volantino sia delle telefonate anonime, Italo Bono, viene individuato dalle forze dell'ordine la stessa sera del 5 agosto. Si tratta di un personaggio interno all'estrema destra a Bologna, ma poco considerato nell'ambiente e con problemi psichici evidenti. Le indagini su Bono e su altri estremisti a lui collegati non danno esiti, potendo tutti disporre di un alibi. Il 9 agosto arriva alla questura di Roma la testimonianza di Rosa Marotta, titolare di una ricevitoria del Lotto di via Aureliana a Roma. La donna avrebbe ascoltato, qualche giorno prima della strage, la telefonata fatta da una ragazza nel suo locale, riguardante un attentato in preparazione: «Le bombe sono pronte… da Bologna c'è il treno per Mestre, là trovi la macchina per passare il confine... stai tranquillo… i passaporti sono pronti…». I dirigenti dell'ufficio politico della capitale accertano rapidamente chi era la ragazza autrice della telefonata, Claudia Ajello, non aspettandosi però che questa fosse una collaboratrice del Sid e che lavorasse in un ufficio del Servizio segreto in via Aureliana. La ragazza, interrogata dal Pm ben tre giorni dopo, afferma di non aver assolutamente parlato di bombe e che la telefonata era rivolta alla madre in partenza per un viaggio che prevedeva il trasferimento da Roma a Mestre in treno. La Ajello fornisce però versioni contrastanti con quelle dei suoi superiori del servizio segreto, anche riguardo al motivo dell'utilizzo di un telefono pubblico invece dell'apparecchio presente nell'ufficio del Sid. Verrà rinviata a giudizio per falsa testimonianza. Inoltre verrà accertato il suo ruolo all'interno del Sid, non come semplice traduttrice, ma come infiltrata all'interno dell'ambiente degli studenti greci e del PCI, sezione di Casal Bertone, cui si era iscritta. La sera 15 dicembre 1975 nasce la principale pista di indagine: tre detenuti (Aurelio Fianchini, Felice D'Alessandro e Luciano Franci) evadono dalla Casa circondariale di Arezzo dopo aver segato l'inferriata della cella ed aver superato il muro di cinta tramite l'ausilio di due lenzuola e un copriletto. La fuga è funzionale al progetto di portare il terzo evaso, Franci, davanti alla stampa per farlo confessare della paternità della strage, che già avrebbe confidato agli altri due durante la comune detenzione. In cambio Franci, estremista di destra al momento in carcere per l'attentato ferroviario del 6 gennaio 1975 a Terontola, avrebbe avuto l'appoggio per espatriare. Si deve tener conto che la cattura di Franci aveva determinato indagini a tappeto verso gli estremisti neri toscani a lui collegati, costringendo Cauchi alla fuga all'estero mentre Tuti, per non farsi arrestare, ucciderà i due agenti di polizia empolesi, Falco e Ceravolo. Comunque, durante la fuga dal carcere Franci ci ripensa, probabilmente rendendosi conto che la promessa dell'espatrio non si sarebbe avverata. Fianchini e D'Alessandro giungono così da soli davanti alla redazione del periodico Epoca, rilasciando dichiarazioni sulle confidenze ricevute. D'Alessandro, su cui pendeva reato grave, decide poi di non costituirsi, mentre lo fa Fianchini che fa mettere a verbale le sue dichiarazioni all'ufficio politico della questura di Roma: «Da circa quattro mesi e mezzo ero detenuto nelle carceri giudiziarie di Arezzo per furto di ex-voto. In precedenza avevo espiato sette anni di reclusione pure per furto. In passato ero stato già detenuto altre volte per reati comuni. Aderisco al gruppo della sinistra extraparlamentare e precisamente alla IV Internazionale e per circa due anni ho usufruito del Soccorso Rosso. La sera del 15 corrente sono evaso dal carcere di Arezzo insieme a Franci Luciano e D'Alessandro Felice. Quest'ultimo era segretario della FGCI di Cortona. L'evasione è stata effettuata per portare il Franci davanti ai giornalisti e fargli confermare alcune gravissime rivelazioni, con la falsa promessa di agevolarlo poi nell'espatrio clandestino. Circa le menzionate rivelazioni, posso dire che un mese e mezzo fa, in occasione di diversi colloqui, qualche volta presente anche il D'Alessandro, il Franci mi ha confidato che l'attentato al treno Italicus fu opera del Fronte Nazionale Rivoluzionario. Mario Tuti fornì l'esplosivo, Malentacchi Piero piazzò l'ordigno sul treno nella stazione di Santa Maria Novella, e il Franci, che lavorava nell'ufficio postale della suddetta stazione, fece da palo. L'ordigno era stato preparato dal Malentacchi che aveva acquisito una specifica competenza in proposito durante il servizio militare. L'attentato fu eseguito per creare il caos nel paese e favorire l'attuazione di un successivo colpo di stato. L'esplosivo usato per l'attentato all'Italicus era diverso da quello usato per l'attentato alla stazione ferroviaria di Terontola. Durante l'evasione ci siamo sperduti in quanto il Franci non ce la faceva, in quanto percorrevamo lunghi tratti a piedi. Oggi mi sono costituito perché è venuto meno il motivo per cui sono evaso» (Sentenza G.I. Italicus 1980[6]) Nonostante la fuga, le indagini accerteranno numerosissimi riscontri nelle dichiarazioni di Fianchini: Franci si trovava di servizio a Santa Maria Novella la notte in cui avvenne l'attentato dell'Italicus. Malentacchi aveva acquisito preparazione sull'uso di esplosivi durante il servizio militare nel genio guastatori. Questa lo avrebbe reso in grado, con un minimo di competenza in più, di confezionare l'ordigno esplosivo. Inoltre, nel 1976 Fianchini parlerà di una loggia massonica cui erano collegati gli eversori e alla quale era iscritto Mario Marsili, il Pm di Arezzo che dirigeva le indagini sull'attentato di Terontola. Effettivamente il magistrato (tra l'altro genero di Licio Gelli), risulterà affiliato alla loggia massonica deviata P2 benché "in sonno" al momento del ritrovamento delle liste (1980). Della strage dell'Italicus lascia accenni anche Felice D'Alessandro, indirettamente, tramite i diari che teneva in carcere, perduti durante la fuga. Vengono acquisiti dall'autorità giudiziaria. Il 2 febbraio 1975, ascoltando i discorsi dei neofascisti in carcere per l'attentato di Terontola, aveva annotato: «Sono arrivati i fascisti: 4 . Due hanno fatto tre giorni d'isolamento e poi sono stati messi in compagnia. N. B . le indagini sono ancora in alto mare e gli interrogatori proseguono quotidianamente anche per questi due. Li ho sentiti dire stasera ricordiamoci di avvisare il G. e dirgli che si faccia mettere anche lui in compagnia. Celle vicine per tutti. Il P.M. durante gli interrogatori promette di aiutarli. I capoccia della cricca non vengono rastrellati per tempo (V. Cauchi). Eppure sia carabinieri che questura erano bene al corrente dei legami che tenevano uniti tutti i componenti della banda. Italicus: lavoravo a Firenze; vidi uno della questura (?) entrare nel vagone che poi esplose, affacciarsi al finestrino e fare un segno con il capo. “So certe cose su Tanassi!” L'attentato alla camera di commercio era stato rinviato perché in giro tirava aria balorda. “L'esplosivo dell'Italicus non era uguale a quello che avevo a casa io” ( ! )» ([7]) I colpevoli della strage non sono mai stati individuati dalla Giustizia, ma la Commissione Parlamentare sulla Loggia P2 ha dichiarato in merito: «Tanto doverosamente premesso ed anticipando le conclusioni dell'analisi che ci si appresta a svolgere, si può affermare che gli accertamenti compiuti dai giudici bolognesi, così come sono stati base per una sentenza assolutoria per non sufficientemente provate responsabilità personali degli imputati, costituiscono altresì base quanto mai solida, quando vengano integrati con ulteriori elementi in possesso della Commissione, per affermare: che la strage dell'Italicus è ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; che la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana; che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell'Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale.» (Relazione di maggioranza della Commissione Parlamentare sulla Loggia P2) Il processo si concluse con l'assoluzione generale di tutti gli imputati sebbene, stante l'impossibilità di determinare concretamente le personalità dei mandanti e dei materiali esecutori, anche la sentenza di assoluzione attesti comunque la correttezza dell'attribuzione della strage all'estrema destra e alla P2[8] definendo come pienamente comprovata una notevole serie di circostanze del tutto significative e univoche in tal senso, al punto da venire esplicitamente richiamata dalla Relazione della Commissione Parlamentare per via di circostanze relative alla strage dell'Italicus e indirizzanti verso l'eversione neofascista e la Loggia P2.[9][10]

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