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domenica 8 settembre 2024

1992 Indagini e processi sulla strage di Capaci

Prima indagine e processo "Capaci uno" Le prime indagini sulla strage di Capaci vennero inizialmente coordinate dal Procuratore capo uscente di Caltanissetta Salvatore Celesti e il 15 luglio 1992 passarono al suo successore Giovanni Tinebra, cui vennero aggregati i sostituti procuratori Ilda Boccassini, Francesco Paolo Giordano e Fausto Cardella[33]. I primi risultati investigativi si ebbero nel marzo del 1993, quando, su indicazione del neo-pentito Giuseppe Marchese (cognato di Leoluca Bagarella), gli agenti della Direzione Investigativa Antimafia, diretta da Gianni De Gennaro, riuscirono ad individuare il covo dove si nascondevano Antonino Gioè, Santino Di Matteo e Gioacchino La Barbera[34] (un anonimo condominio in via Ughetti n.17 a Palermo) ed, intercettando le loro conversazioni, si scoprì che facevano esplicito riferimento all'attentato di Capaci da loro commesso[35][36][37][38]. Dopo essere stato arrestato, Gioè si suicidò nella sua cella, probabilmente perché aveva scoperto di essere stato intercettato mentre parlava dell'attentato di Capaci e di alcuni boss e quindi temeva una vendetta trasversale[39]; invece Di Matteo e La Barbera decisero di collaborare con la giustizia e rivelarono per primi i nomi degli altri esecutori della strage. Per costringere Di Matteo a ritrattare le sue dichiarazioni, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Giuseppe Graviano e Matteo Messina Denaro decisero di rapire il figlioletto Giuseppe, che venne brutalmente strangolato e sciolto nell'acido dopo 779 giorni di prigionia[40]. Nonostante ciò, Di Matteo continuò la sua collaborazione con la giustizia[41]. Si trattò della prima indagine giudiziaria in Italia in cui si applicò l'analisi del DNA in ambito forense[42]: nei giorni successivi alla strage, gli investigatori trovarono, su una collinetta sovrastante l’autostrada, diversi mozziconi di sigaretta lasciati per terra dai presunti assassini[43] e, a seguito di analisi comparative sulla saliva condotte dalla DIA in collaborazione con un team dell'FBI statunitense inviato appositamente in Italia[44][45], il DNA estratto risultò compatibile con quello dei due indagati principali, La Barbera e Di Matteo[14][46][47]. Nell'aprile 1995 iniziò il processo per la strage di Capaci[48], che aveva come imputati Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Filippo e Giuseppe Graviano, Michelangelo La Barbera, Salvatore e Giuseppe Montalto, Matteo Motisi, Bernardo Provenzano, Benedetto Spera, Benedetto Santapaola, Giuseppe "Piddu" Madonia, Mariano Agate, Giuseppe Lucchese, Antonino Giuffrè, Salvatore Buscemi, Francesco Madonia e Giuseppe Farinella (accusati di essere i componenti delle "Commissioni" provinciale e regionale di Cosa Nostra e quindi di avere avallato la realizzazione della strage) ma anche Leoluca Bagarella, Giovanni Battaglia, Salvatore Biondino, Salvatore Biondo, Raffaele e Domenico Ganci, Pietro Rampulla, Antonino Troia, Giuseppe Agrigento, Salvatore Sbeglia, Giusto Sciarrabba e i collaboratori di giustizia Santino Di Matteo, Gioacchino La Barbera, Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Antonino Galliano e Calogero Ganci (accusati di avere partecipato a vario titolo nell'esecuzione della strage e nel reperimento di esplosivi e telecomando che servì per l'esplosione)[16]. A rappresentare l'accusa vennero nominati i pubblici ministeri Francesco Paolo Giordano e Luca Tescaroli[49]. Nel 1997 la Corte d'Assise di Caltanissetta, presieduta dal giudice Carmelo Zuccaro, condannò in primo grado all'ergastolo Salvatore Riina, Pietro Aglieri, Bernardo Brusca, Leoluca Bagarella, Raffaele e Domenico Ganci, Giovanni Battaglia, Salvatore Biondino, Salvatore Biondo, Giuseppe Calò, Filippo e Giuseppe Graviano, Michelangelo La Barbera, Salvatore e Giuseppe Montalto, Matteo Motisi, Pietro Rampulla, Bernardo Provenzano, Benedetto Spera, Antonino Troia, Benedetto Santapaola e Giuseppe Madonia mentre vennero assolti Mariano Agate, Giuseppe Lucchese, Salvatore Sbeglia, Giusto Sciarrabba, Salvatore Buscemi, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè, Francesco Madonia e Giuseppe Agrigento (che però venne condannato per detenzione di materiale esplosivo)[16]; i collaboratori Santino Di Matteo, Gioacchino La Barbera, Giovanni Brusca, Salvatore Cancemi, Giovan Battista Ferrante, Antonino Galliano e Calogero Ganci vennero invece condannati a pene tra i quindici e i ventuno anni di carcere[16][50]. Nell'aprile 2000 la Corte d'assise d'appello di Caltanissetta confermò tutte le condanne e le assoluzioni di primo grado ma condannò all'ergastolo anche Salvatore Buscemi, Francesco Madonia, Antonino Giuffrè, Mariano Agate e Giuseppe Farinella[51]. Nel maggio 2002 la Corte di cassazione annullò con rinvio alla Corte d'assise d'appello di Catania le condanne di Pietro Aglieri, Salvatore Buscemi, Giuseppe Calò, Giuseppe Farinella, Antonino Giuffrè, Francesco Madonia, Giuseppe Madonia, Giuseppe e Salvatore Montalto, Matteo Motisi e Benedetto Spera[52]. Nel luglio 2003 una parte del procedimento per la strage di Capaci e lo stralcio del processo "Borsellino ter" (che riguardava la strage di via D'Amelio) vennero riuniti in un unico processo perché avevano imputati in comune[53]: vennero ascoltati in aula i nuovi collaboratori di giustizia Antonino Giuffrè, Ciro Vara e Calogero Pulci (che resero dichiarazioni sulle riunioni delle "Commissioni" provinciale e regionale di Cosa Nostra in cui vennero decise le stragi[54]) e nell'aprile 2006 la Corte d'assise d'appello di Catania condannò dodici persone in quanto ritenute mandanti di entrambe le stragi: Giuseppe e Salvatore Montalto, Giuseppe Farinella, Salvatore Buscemi, Benedetto Spera, Giuseppe Madonia, Carlo Greco, Stefano Ganci, Antonino Giuffrè, Pietro Aglieri, Benedetto Santapaola, Mariano Agate mentre Giuseppe Lucchese venne assolto[55]; nel 2008 la prima sezione penale della Cassazione confermò la sentenza[56]. Nuove indagini e processo "Capaci bis" Nel giugno 2008 Gaspare Spatuzza (ex mafioso di Brancaccio) iniziò a collaborare con la giustizia e dichiarò ai magistrati di Caltanissetta che circa un mese prima della strage di Capaci si recò a Porticello insieme ad altri mafiosi di Brancaccio e Corso dei Mille (Giuseppe Barranca, Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino, Lorenzo Tinnirello) per ricevere da un certo Cosimo alcuni residuati bellici recuperati in mare[57]; Spatuzza dichiarò anche che gli ordigni furono poi portati in un magazzino nella sua disponibilità dove provvidero ad estrarre l'esplosivo dalle bombe, che venne travasato in sacchi della spazzatura ed in seguito consegnato a Giuseppe Graviano per essere utilizzato nella strage di Capaci e negli altri attentati che seguirono[57]. Dopo queste dichiarazioni, la Procura di Caltanissetta riaprì le indagini sulla strage di Capaci: nell'aprile 2013 il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta emise un'ordinanza di custodia cautelare per il pescatore Cosimo D'Amato (identificato dalle indagini nel Cosimo indicato da Spatuzza), Giuseppe Barranca, Cristofaro Cannella, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino, Lorenzo Tinnirello e Salvatore Madonia (accusato di essere stato un componente della "Commissione provinciale" di Cosa Nostra in qualità di reggente del "mandamento" di Resuttana e quindi di avere avallato la strage)[58]. Nel maggio 2014 ebbe inizio il secondo troncone del processo per la strage di Capaci, denominato "Capaci bis", che aveva come imputati Salvatore Madonia, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino e Lorenzo Tinnirello[59]; a novembre il giudice dell'udienza preliminare di Caltanissetta condannò con il rito abbreviato Giuseppe Barranca e Cristofaro Cannella all'ergastolo mentre Cosimo D'Amato e il collaboratore Gaspare Spatuzza vennero condannati rispettivamente a trent'anni e a dodici anni di carcere.[60] Nel 2015, durante il processo, lo stesso D'Amato iniziò a collaborare con la giustizia e confermò anche in aula il suo coinvolgimento nella fornitura di esplosivi ai mafiosi di Brancaccio e Corso dei Mille[61][62]. Il 26 luglio 2016 la Corte d'Assise di Caltanissetta condannò in primo grado Madonia, Lo Nigro, Pizzo e Tinnirello all'ergastolo mentre Tutino venne assolto "per non aver commesso il fatto"[63]. Durante il processo d'appello, vennero chiamati a deporre i collaboratori di giustizia Pietro Riggio, Maurizio Avola e Natale Di Raimondo, oltre al boss catanese Marcello D'Agata (che si avvalse della facoltà di non rispondere)[64]: Avola (già sentito nel processo "Capaci uno"[65]) rese nuove dichiarazioni e si autoaccusò di aver trasportato detonatori ed esplosivo utilizzati nella strage da Catania a Termini Imerese insieme a D'Agata, mettendoli a disposizione di Cosa Nostra palermitana, ma venne smentito dalle dichiarazioni di Di Raimondo[66][67]; il collaboratore Riggio (ex agente di Polizia penitenziaria ed esattore per conto della Famiglia di Caltanissetta) dichiarò che il suo compagno di cella, l'ex poliziotto Giovanni Peluso, gli avrebbe confidato di aver lavorato per il SISDE e di aver partecipato alle fasi esecutive della strage[68]; chiamato a testimoniare, Peluso (nel frattempo indagato della Procura di Caltanissetta per strage e associazione mafiosa a seguito delle accuse di Riggio[69]) dichiarò che il giorno della strage si trovava all'Istituto Superiore di Polizia per un corso[70]. Inoltre nell'udienza del 15 gennaio 2020 testimoniò anche la genetista Nicoletta Resta, che avanzò l'ipotesi secondo cui ci possa essere stata anche una donna sul luogo della strage poiché resti di DNA femminile sono stati estratti dall'analisi di reperti rinvenuti nei pressi del luogo dell'esplosione[71]. Infine il 21 luglio 2020 la Corte d'Assise d'Appello di Caltanissetta confermò le condanne all'ergastolo per Madonia, Lo Nigro, Pizzo e Tinnirello e l'assoluzione di Tutino[72][73]. Tale sentenza fu confermata dalla Cassazione e divenne definitiva nel giugno 2022[74][75]. Processo nei confronti di Matteo Messina Denaro per le stragi di Capaci e via d'Amelio Lo stesso argomento in dettaglio: Matteo Messina Denaro. Matteo Messina Denaro in una foto di repertorio. Nel gennaio 2016 il gup di Caltanissetta emise un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di Matteo Messina Denaro, capomandamento di Castelvetrano latitante dal 1993, con l'accusa di essere uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via d'Amelio[76]. L'imputazione si basava sulle dichiarazioni di collaboratori di giustizia già acquisite nei vari processi sulle stragi che si sono celebrati negli anni precedenti: infatti, secondo i collaboratori Vincenzo Sinacori, Francesco Geraci e Giovanni Brusca, nel settembre 1991 Messina Denaro partecipò ad una riunione a Castelvetrano in cui Salvatore Riina comunicò la decisione di dare il via alla strategia stragista, inviando appunto a Roma il boss castelvetranese insieme ad altri mafiosi per uccidere Giovanni Falcone, salvo poi richiamarli in Sicilia per eseguire l'attentato diversamente[77]; inoltre, sempre secondo Sinacori, Geraci e Brusca, lo stesso Messina Denaro avrebbe progettato l'omicidio di Paolo Borsellino mentre questi era Procuratore capo a Marsala poiché il giudice stava disturbando gli interessi di Cosa Nostra nel trapanese con le sue indagini[76][78]. Per questi motivi, l'anno successivo il gup di Caltanissetta Marcello Testaquadra dispose il rinvio a giudizio per Messina Denaro con l'accusa di strage; il processo si aprì il 13 marzo dello stesso anno[79][80][81]. Il 20 ottobre 2020 la Corte d'assise di Caltanissetta, presieduta dal giudice Roberta Serio, condannò all'ergastolo Messina Denaro in contumacia per il reato di strage[78]. Il 16 gennaio 2023 Messina Denaro fu arrestato a Palermo dal ROS dei Carabinieri, dopo trent'anni di latitanza[82]. Il 18 luglio dello stesso anno, la condanna all'ergastolo è stata confermata in appello.[83] Indagine "Mandanti occulti" L'indagine su Berlusconi e Dell'Utri Nel 1993 la Procura di Caltanissetta aprì un secondo filone d'indagine parallelo per accertare le responsabilità nelle stragi di Capaci e via d'Amelio di eventuali suggeritori o concorrenti esterni all'organizzazione mafiosa (i cosiddetti "mandanti occulti" o "a volto coperto"): nel 1998 vennero iscritti nel registro degli indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri sotto le sigle “Alfa” e “Beta” per concorso in strage; le indagini partirono da: le dichiarazioni di Salvatore Cancemi; i verbali relativi ai rapporti con Vittorio Mangano; le dichiarazioni successive di Tullio Cannella e Gioacchino La Barbera; le dichiarazioni di Gioacchino Pennino e Angelo Siino; gli esiti delle indagini della DIA e del Gruppo "Falcone-Borsellino"[84]. Tuttavia nel 2002 il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta archiviò l'inchiesta su “Alfa” e “Beta” al termine delle indagini preliminari poiché non si era potuta trovare la conferma delle chiamate de relato[85]. Il gip, nel decreto di archiviazione, lascia alla valutazione dei pubblici ministeri di effettuare ulteriori indagini su «piste investigative diverse da quelle sinora perseguite» ritenendo che «tali accertati rapporti di società facenti capo al gruppo Fininvest con personaggi in varia posizione collegati all'organizzazione Cosa nostra, costituiscono dati oggettivi che rendono quantomeno non del tutto implausibili né peregrine le ricostruzioni offerte dai diversi collaboratori di giustizia». Oltre a questo viene evidenziato anche che «gli atti del fascicolo hanno ampiamente dimostrato la sussistenza di varie possibilità di contatto tra gli uomini appartenenti a Cosa Nostra ed esponenti e gruppi societari controllati in vario modo dagli odierni indagati». Ma conclude affermando che «Occorre tuttavia verificare se effettivamente tali contatti vi siano stati e che esito abbiano avuto. Orbene le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che dovrebbero riscontrare tale ipotesi sono tutte "de relato" e, come si è visto, il più delle volte generiche ed incerte nei contenuti».[84] Nel 2006 l'ex Procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra fu iscritto nel registro degli indagati per favoreggiamento personale nei confronti di Berlusconi e Dell’Utri a seguito delle accuse del pm incaricato di seguire le indagini sui "mandanti occulti", Luca Tescaroli, il quale affermò che il suo capo, Tinebra, voleva denunciare per calunnia il collaboratore di giustizia Salvatore Cancemi a causa delle sue dichiarazioni su Berlusconi; tuttavia, nello stesso anno, la Procura di Catania chiese l’archiviazione e il gip la concesse poiché Tinebra “non ha voluto favorire Berlusconi e Dell’Utri ma ha agito con la dovuta prudenza e attenzione al fine di non arrecare inutili danni e provocare situazioni meramente scandalistiche e strumentalizzazioni politiche”[86]. Filone d'indagine su "Mafia e Appalti" Nel 2002, la Procura di Caltanissetta guidata dal Procuratore capo Francesco Messineo, affiancato dai procuratori aggiunti Renato Di Natale e Francesco Paolo Giordano, iscrisse nel registro degli indagati gli imprenditori Antonino Buscemi, Pino Lipari, Giovanni Bini, Antonino Reale, Benedetto D'Agostino e Agostino Catalano (ex titolari di grandi imprese edili collegate alla Calcestruzzi S.p.A. del Gruppo Ferruzzi-Gardini che si occupavano dell'illecita spartizione degli appalti pubblici per conto dell'organizzazione mafiosa) per concorso in strage, in base alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Angelo Siino e Giovanni Brusca[87][88]: le indagini infatti ipotizzarono un interesse che alcuni ambienti politico-imprenditoriali e mafiosi avevano di evitare lo sviluppo e l'approfondire delle indagini che i giudici Falcone e Borsellino stavano conducendo sulla base del rapporto investigativo denominato "Mafia e Appalti" redatto nel 1991 dal ROS dell'Arma dei Carabinieri[88][89]; tuttavia nel 2003 il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta archiviò le indagini sugli accusati perché "gli elementi raccolti non appaiono idonei a sostenere l'accusa" in giudizio[88]. Presunto ruolo di "faccia da mostro" Nel 2009, sulla base delle nuove rivelazioni dei collaboratori di giustizia Vito Lo Forte e Francesco Marullo, la Direzione Nazionale Antimafia guidata da Pietro Grasso identificò "faccia da mostro" (fantomatico killer con il volto deturpato al soldo di mafia e servizi segreti deviati) in Giovanni Aiello[90][91], un ex poliziotto che aveva prestato servizio in Sicilia e poi era stato congedato perché sfigurato ad una guancia da una fucilata[92]: sempre nello stesso anno, la Procura di Caltanissetta guidata dal Procuratore Sergio Lari, affiancato dall’aggiunto Nico Gozzo e dai pm Gabriele Paci e Stefano Luciani, iscrisse Aiello nel registro degli indagati per concorso nelle stragi di Capaci e via d'Amelio (ma anche per il fallito attentato all'Addaura) poiché appunto i due collaboranti avevano parlato di un suo presunto ruolo nei tre attentati[93]; l'indagine venne però archiviata nel 2012 dal giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta perché non si trovarono conferme al racconto di Lo Forte e Marullo, pur sostenendo che «molteplici altre circostanze inducono a identificare il soggetto di cui hanno parlato i collaboratori Lo Forte e Marullo nella persona dell'odierno indagato».[90][94] Momentanea conclusione Infine nel 2013 la Procura di Caltanissetta archiviò definitivamente l'inchiesta sui "mandanti occulti" poiché le indagini non avevano trovato ulteriori risultati investigativi: «Da questa indagine non emerge la partecipazione alla strage di Capaci di soggetti esterni a Cosa nostra. La mafia non prende ordini e dall'inchiesta non vengono fuori mandanti esterni. Possono esserci soggetti che hanno stretto alleanze con Cosa nostra ed alcune presenze inquietanti sono emerse nell'inchiesta sull'eccidio di Via D'Amelio: ma in questa indagine non posso parlare di mandanti esterni» (Sergio Lari, procuratore di Caltanissetta, in un'intervista al Giornale di Sicilia, aprile 2013[95]) Indagine su Paolo Bellini Nel 2023 la Procura di Caltanissetta iscrisse nel registro degli indagati per il reato di concorso in strage l'ex terrorista di Avanguardia Nazionale Paolo Bellini, già in contatto con uno degli stragisti, Antonino Gioè, per il recupero di alcune tele rubate. Secondo le indagini, risulterebbero alcune sue presenze alberghiere in Sicilia all'epoca della strage, come confermato dall'ex moglie di Bellini, Maurizia Bonini.[96]

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