Scritto da Luciano Luciani
StoricaMente
12 Dicembre 2023
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Allora, capitano Ciancarella (posso chiamarLa così?), il suo libro, Si può Si deve,
severamente polemico nei confronti dell’Aeronautica militare, esce
proprio alla fine di questo 2023, anno centenario dell’Arma Azzurra.
Qualcuno potrebbe vederci un’ulteriore intenzione di contrasto…
L’intenzione
è piuttosto quella di restituire anche all’Arma quell’onore così spesso
violato nei miei confronti e non solo. Se questo necessita di forme di
contrasto non mi farò certo indietro.
“A Luciana, Sasha, Leonardo e Thalita per aver sopportato l’indicibile”: suona così la sua dedica. Ce la può spiegare?
Perché
i miei familiari, più di qualsiasi altro, hanno dovuto pagare il prezzo
delle mie scelte di fedeltà al giuramento prestato di servire il Paese
anche a costo della vita. Credo che chiunque voglia leggere il libro
converrà sulla spaventosa mole di sofferenza che ho imposto loro di
sopportare, e mi auguro che i miei sappiano almeno trarne motivo di
fierezza se non di perdono.
Prona
sudditanza politica e militare agli Usa e palese mancanza di democrazia
e trasparenza all’interno delle Forze Armate: sono le chiavi con cui
Lei apre le porte di tutti i misteri italiani da oltre quarant’anni a
questa parte… Abbiamo ben interpretato la ratio che ispira le pagine di Si può Si deve?
Esatto.
Si tratta di una condizione di sudditanza sottoscritta dalla nostra
politica sulla quale ancora non si è voluta fare chiarezza. L’assenza di
democrazia nelle Forze Armate ne è una diretta conseguenza. D’altra
parte è il Procuratore Generale della Magistratura Militare che nel
2000, all'apertura dell’anno giudiziario, ha scritto “Forze Armate delle
quali si diceva che fossero una beata insula incontaminata dal contagio costituzionale”.
Dunque la Costituzione come una vera e propria epidemia da contrastare
in ogni modo e forma. Ma così, condannando le Forze Armate a essere da
subito estranee al dettato ed allo spirito della Costituzione, quando
invece avrebbero dovuto esserne fedeli custodi. C’è ancora spazio e
possibilità di sfuggire a questo destino turpe, se solo la Politica
volesse riappropriarsi del suo ruolo e delle sue funzioni di garanzia
costituzionale. Certo, la passività di fronte alla alterazione della
firma del presidente della Repubblica e il lasciare che abbia effetti un
Decreto presidenziale inesistente, lascia qualche dubbio non solo sulla
mia vicenda, ma anche sulle parole che il presidente Mattarella
continuamente va distribuendo sulla importanza della lotta alla
corruzione e sulla tutela dei diritti umani.
Lei
attribuisce all’incidente del monte Serra del 3 marzo ’77, in cui
perirono 38 cadetti dell’Accademia di Livorno, un accompagnatore e
quattro membri dell’equipaggio, l’inizio della fine… Usa un’immagine
forte: “ho iniziato a morire dentro”. Può spiegare meglio?
Ci
sono vicende nella vita di ciascuno che segnano un confine ineludibile
con la fine delle proprie illusioni e verso l’alterazione dei propri
propositi. Si muore dentro un po’ alla volta, anche se attorno a te la
vita continua. I corpi di quei cadetti trucidati da un’infamia di Stato e
senza Verità e Giustizia mi hanno lacerato in maniera profonda. Il
rifiuto di affrontare le chiare responsabilità dell’Arma Aeronautica mi
ha segnato irrimediabilmente, portandomi però a saper poi meglio
analizzare la vicenda Ustica con tutte le sue implicazioni. Questo è,
anche se in piccola parte, un riscatto di quella vicenda del Monte
Serra. Un riscatto che io ho cercato di assumere e di vivere, mentre
altri ne hanno tratto motivo per ulteriori menzogne e tradimenti.
Il
Movimento democratico dei sottufficiali, lo scontro/incontro poi
l’amicizia col tenente colonnello Sandro Marcucci, morto in un incidente
aereo dai connotati ancora misteriosi… Cosa Le hanno lasciato l’uno, il
Movimento, e l’altro, Sandro Marcucci?
Il
Movimento mi ha lasciato soprattutto il rispetto profondo e
l’ammirazione per quei magnifici sottufficiali che gli diedero vita.
Uomini che istintivamente prendevano il carico del nostro debito
costituzionale e diedero vita alla rinascita di un impegno democratico
nelle Forze armate che nulla sottraeva alla disciplina, ma che anzi ne
amplificava le modalità e finalità. Il processo di Norimberga non a caso
è stato uno dei riferimenti fondamentali: per cancellare, con la legge
dei principi sulla disciplina militare L382-78, il concetto di obbedienza pronta cieca e assoluta di mussoliniana memoria, con quello di consapevole
e leale, fino al rifiuto dovuto dell’obbedienza per ordini la cui
esecuzione costituisse reato o configurasse un’aggressione alle
istituzioni democratiche.
Sandro mi ha lasciato un enorme vuoto. Devo a lui se ho imparato che ci
si può anche convertire alla democrazia in ogni momento della nostra
vita senza esserne stato contaminato in precedenza e, anzi, essendo
figlio di un pensiero alternativo a essa. Mi ha insegnato che il sangue
dei nostri figli e la nostra sofferenza per il dolore per la morte dei
nostri figli non può valere di più del sangue dei figli degli altri
cittadini o del dolore per la morte dei loro figli, e che noi che
abbiamo costantemente bisogno della retorica dell’eroismo sui campi di
battaglia e del sangue versato per la Patria. Non saremmo credibili se
non fossimo disponibili a perdere non la vita, ma una poltrona e un
grado nella ordinarietà della vita quotidiana. Un esempio fulgido, si
direbbe nelle motivazioni di un riconoscimento militare, se non fosse
che la sua conversione alla Costituzione venne sentito come un
tradimento per cui divenne necessario il suo stesso omicidio.
L’incontro
con Pertini… Lei ne fa una ricostruzione puntuale… ma c’è qualcosa che
vorrebbe aggiungere che Le è rimasto nella penna?
Credo
di aver ricordato tutto di quell’eccezionale esperienza. Posso solo
dire che l’evidente rifiuto di firmare il decreto di radiazione che mi
riguardava è stato quel granello di sabbia che è necessario saper
mettere nei meccanismi del potere perché essi possano essere, un giorno,
fermati. Di più non poteva fare quel campione di democrazia che fu
Sandro Pertini, dopo averci ricordato la sua prigionia ed esilio ed
averci detto che non avrebbe mai potuto fare qualcosa apertamente a
nostro favore quale che fosse il destino cui saremmo stati destinati. Ha
fatto, invece, ha fatto moltissimo, sfidando i generali con quella
firma mancata.
Poi,
capitano, c’è la vicenda di Ustica. Con le sue vittime e la sua lunga
scia di strani suicidi e morti ammazzati tra chi ne sapeva… Altri
dolori, altre capri espiatori sacrificati sull’altare di un conclamato e
mai giustificato “onore militare”?
È
la pagina più triste della storia del nostro Paese. Arrivare a
progettare l’abbattimento di un nostro aereo e l’omicidio dei suoi
passeggeri, per poterne attribuire la responsabilità a Gheddafi è una
cosa vergognosa e indicibile, per la cui realizzazione e copertura si è
stati disponibili a tradire ogni previsione di compiti di servizio.
Nulla, neppure il riconoscimento delle reali responsabilità, potrebbe
riscattare i delitti di quella strage e quelli successivi delle tante
persone uccise perché non contribuissero al loro disvelamento.
Dopo
la comprovata falsità della firma in calce al decreto che ti radiava
dall’Aeronautica e al mancato reintegro nell’Arma, come si colloca oggi
il capitano Ciancarella?
È
un uomo in attesa, come sempre, di qualcosa che possa cambiare la
storia. Un gesto, una revoca, che riconfermando il ruolo di garante
della costituzione del presidente della Repubblica ne riscattino
l’umiliazione subita con la realizzazione della falsa sottoscrizione di
Sandro Pertini. È comunque un nonno, che svolge i suoi compiti parentali
con gratitudine e serenità, consapevole di aver fatto la cosa giusta
anche quando questo significava far pagare prezzi altissimi ai miei
familiari.